Una deputata del parlamento austriaco aveva citato Facebook Ireland innanzi a un tribunale nazionale chiedendo venisse ordinata la rimozione di un commento pubblicato da un utente all’interno del noto social network e risultato lesivo del suo onore, nonché affermazioni identiche e/o dal contenuto equivalente.
L’utente in questione aveva condiviso l’articolo di una rivista di informazione online austriaca, nel quale si sosteneva che il partito dei Verdi si era dichiarato favorevole al mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati. L’anteprima di tale articolo presentava un’immagine della deputata austriaca appartenente al medesimo partito. L’utente aveva pubblicato tale articolo con commenti che il tribunale austriaco aveva ritenuto lesivi dell’onore della deputata e tali da ingiuriarla e diffamarla, agevolmente visualizzabili da qualsiasi utente di Facebook.
Nell’ambito di tale vicenda, la Corte suprema austriaca ha chiesto alla Corte di giustizia di fornire l’interpretazione di alcune disposizioni della Direttiva 2000/31/CE relativa ai servizi della società dell’informazione e al commercio elettronico nel mercato interno.
In particolare, l’Oberster Gerichtshof ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico osti in generale a uno degli obblighi sotto descritti imposti a un host provider, come Facebook, che non abbia rimosso tempestivamente informazioni illecite, in particolare all’obbligo di rimuovere, non soltanto le suddette informazioni illecite ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva medesima, ma anche altre informazioni identiche:
– a livello mondiale;
– nello Stato membro interessato;
– dell’utente interessato a livello mondiale;
– dell’utente interessato nello Stato membro interessato.
2) In caso di risposta negativa alla prima questione: se ciò valga rispettivamente anche per informazioni dal contenuto equivalente.
3) Se ciò valga anche per informazioni dal contenuto equivalente, non appena il gestore sia venuto a conoscenza di tale circostanza».
Con la decisione resa lo scorso 3 ottobre, la Corte di giustizia ha risposto in maniera negativa al primo quesito, chiarendo inoltre i limiti degli obblighi di censura delle informazioni dal contenuto equivalente.
La Corte ha infatti affermato che la disciplina europea armonizzata in materia di commercio elettronico non osta a che un giudice di uno Stato membro possa i) ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni da esso memorizzate e il cui contenuto sia identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime, qualunque sia l’autore della richiesta di memorizzazione di siffatte informazioni; ii) ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni da esso memorizzate e il cui contenuto sia equivalente a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime, purché la sorveglianza e la ricerca delle informazioni oggetto di tale ingiunzione siano limitate a informazioni che veicolano un messaggio il cui contenuto rimane sostanzialmente invariato rispetto a quello che ha dato luogo all’accertamento d’illeceità e che contiene gli elementi specificati nell’ingiunzione e le differenze nella formulazione di tale contenuto equivalente rispetto a quella che caratterizza l’informazione precedentemente dichiarata illecita non siano tali da costringere il prestatore di servizi di hosting ad effettuare una valutazione autonoma di tale contenuto; e iii) ordinare a un prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni oggetto dell’ingiunzione o di bloccare l’accesso alle medesime a livello mondiale, nell’ambito del diritto internazionale pertinente.
Nella propria decisione, la Corte ha sottolineato che, in sede di attuazione dell’articolo 18(1) della Direttiva 2000/31, gli Stati membri dispongono di un potere discrezionale particolarmente ampio per quanto riguarda i ricorsi e le procedure che consentono l’adozione dei provvedimenti necessari alla rimozione di contenuti lesivi. Tali provvedimenti sono preordinati a porre fine a «qualsiasi» presunta violazione o a impedire «qualsiasi» ulteriore danno agli interessi in causa, sicché, in linea di principio, non si può presumere alcuna limitazione alla loro portata ai fini della loro attuazione.
La Corte ha inoltre evidenziato che, sebbene l’articolo 15(1), della Direttiva vieti agli Stati membri di imporre ai prestatori di servizi di hosting un obbligo generale di sorvegliare le informazioni che trasmettono o memorizzano, o un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite, il considerando 47 della direttiva in parola esclude l’applicabilità di tale divieto agli obblighi di sorveglianza «in casi specifici».
A parere della Corte, un caso specifico può scaturire, come nel procedimento riguardante la deputata austriaca, da un’informazione precisa, memorizzata dal prestatore di servizi di hosting interessato su richiesta di un determinato utente del suo social network, il cui contenuto sia stato analizzato e valutato da un giudice competente dello Stato membro che, in esito alla sua valutazione, l’abbia dichiarata illecita.
D’altro canto, poiché un social network facilita la trasmissione rapida delle informazioni memorizzate dal prestatore di servizi di hosting tra i suoi vari utenti, sussiste un rischio reale che un’informazione qualificata come illecita possa essere successivamente riprodotta e condivisa da un altro utente del network, con conseguente propagazione dell’informazione e dei danni da essa scaturenti.