CGE: il diritto dell’Unione riconosce una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla Convenzione di Ginevra

In Belgio e nella Repubblica Ceca un cittadino ivoriano, un cittadino congolese e una persona di origini cecene, titolari e richiedenti dello status di rifugiato, secondo i casi, si sono visti, rispettivamente, revocare detto status e negare il riconoscimento del medesimo sulla base dell’art. 14, par. da 4 a 6 della Direttiva 2011/95/UE, che consente l’adozione di misure del genere nei confronti delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o per l’ordine pubblico. Gli interessati contestano la revoca e il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato dinanzi ai competenti organi giurisdizionali del Belgio e della Repubblica Ceca, che interrogano la Corte di Giustizia europea circa la conformità delle suddette previsioni con la Convenzione di Ginevra.

La Corte di Giustizia, con una sentenza innovativa, dopo aver riconosciuto che i motivi di revoca e di diniego previsti dalla direttiva corrispondono ai motivi che la stessa Convenzione di Ginevra riconosce tali da giustificare il respingimento di un rifugiato verso il paese di origine, persino nei casi in cui la sua vita e la sua libertà siano ivi minacciate, precisa che nondimeno tale direttiva dev’essere interpretata e applicata alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta in termini perentori la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti del genere.

Gli Stati membri, pertanto, non possono allontanare, espellere o estradare uno straniero quando esistono seri e comprovati motivi di ritenere che, nel paese di destinazione, egli vada incontro a un rischio reale di subire trattamenti proibiti dalla Carta.

Leggi la sentenza CGUE, Grande Sezione, del 14 maggio 2019, cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17.