Proposta per una carta unificata di credito formativo e culturale

Negli ultimi anni, sono stati utilizzati diversi strumenti per assegnare a segmenti specifici della popolazione fondi individuali da spendere in cultura e formazione: dalle varie forme di carte di credito formativo (rivolte soprattutto a situazioni di disoccupazione o di riqualificazione professionale) alla App 18 per i giovani o la carta del docente per gli insegnanti. L’intervento propone una strada alternativa: una carta virtuale disponibile per chiunque (istruzione e formazione servono a tutte e a tutti), utilizzabile sui normali circuiti, su cui possa essere accumulato credito sia in forma di rimborso totale o parziale per spese destinate a cultura e formazione, ove opportuno individuando destinatari specifici (come nei casi sopra ricordati), sia in forma di reward per successi formativi (diplomi, laurea, formazione permanente) o spese culturali (eventualmente anche attraverso l’integrazione con iniziative come le carte di fidelizzazione di editori, librerie, istituzioni culturali). Una card così concepita potrebbe avere anche la funzione di e-portfolio per la raccolta, la certificazione e la valorizzazione della formazione individuale

 

di Gino Roncaglia.

 

Nel corso degli ultimi anni, numerosi progetti nazionali ed europei hanno previsto meccanismi di “carta di credito formativa”. Nella maggior parte dei casi, si tratta sostanzialmente di voucher destinati a disoccupati o a fasce svantaggiate della popolazione e corrispondenti a un importo fisso e predeterminato, spendibili in formazione e/o in attrezzature tecnologiche. È questo il caso, per ricordare solo qualche esempio, della carta ILA (Individual Learning Account) promossa nell’ambito del POR 2007-2013 dal Fondo Sociale Europeo e gestita dai Centri per l’impiego delle Provincie, della carta di credito formativa promossa dal Comune di Roma in collaborazione con il Consorzio Gioventù Digitale, e di iniziative analoghe promosse da diverse Regioni (ad esempio la Carta-IN promossa nel 2004 dalla Regione Campania, sempre su fondi FSE). In genere, l’accredito previsto da questi progetti è dell’ordine dei 2-3.000 euro, e la spesa in attrezzature e formazione deve obbligatoriamente avvenire attraverso strutture accreditate.

L’uso del termine ‘carta di credito’ è in questi casi abbastanza improprio: è vero che si tratta dell’assegnazione di una somma da spendere, ma l’assegnazione è una-tantum (non si ha dunque in mano uno strumento riusabile, sul quale possano essere caricati altri fondi). Ma il limite principale di questi interventi è nella percezione psicologica da parte degli utenti: la formazione viene comunque percepita come un costo (anche se sostenuto da altri) e non come un valore. L’iniziativa formativa è percepita come quella per cui si ‘spendono’ i soldi ricevuti, non quella che permette di ottenere un vantaggio concreto, anche in termini di ritorno economico.

Nonostante la diversa natura dello strumento usato – che, in linea con la progressiva virtualizzazione dei metodi di pagamento, vede la sostituzione della carta fisica con un portafoglio virtuale – anche l’App 18 e la Carta docente prevedono un meccanismo concettualmente analogo a quello delle carte di credito formative: un credito spendibile in beni e servizi legati alla cultura e, nel caso della carta docente, all’insegnamento.

In parte diverso è il meccanismo alla base della ‘social card’ o ‘Carta acquisti’ statale introdotta nel 2013 per anziani in condizioni economiche disagiate: in questo caso la carta era ricaricata periodicamente dallo stato, con un contributo di 40 euro al mese, e poteva essere utilizzata per effettuare acquisti in esercizi commerciali convenzionati (in particolare supermercati e alimentari), attraverso la convenzione con il circuito Mastercard, e per pagare tasse e contributi. Il successivo passaggio alla carta REI – utilizzata per il reddito di inclusione e poi per quello di cittadinanza – ha conservato almeno in parte l’analogia con la carta precaricata. L’aspetto interessante di questo modello – che si rivolge a una fascia piuttosto ampia della popolazione – è nell’effettiva vicinanza a una carta di credito (o meglio, a una carta prepagata), che trasforma la social card in uno strumento vivo e riusabile. A differenza della carta di credito formativa, tuttavia, l’accumulo di valore non è finalizzato a una spesa orientata alla crescita culturale e professionale, ma ad acquisti di beni e servizi fondamentali da parte di chi si trova in condizioni di svantaggio economico.

Altra possibilità ben nota è poi quella del finanziamento di alcune tipologie di spesa attraverso deduzioni o detrazioni fiscali: è il caso delle spese mediche, delle spese per l’istruzione formale, e di proposte per deduzioni o detrazioni specifiche legate a spese considerate di particolare valore per la collettività (ad es. riqualificazione edilizia, energetica o antisismica, ecc.). Si tratta di un modello universale (rivolto cioè all’intera popolazione), che comporta però spesso procedure complicate di conservazione e produzione della documentazione (fatture, scontrini ecc.). Inoltre, la deduzione – riguardando un abbattimento dell’onere imponibile – favorisce i più abbienti, che hanno un’aliquota marginale più alta.

Un ulteriore meccanismo, del tutto diverso da quelli sopra considerati ma che è utile ricordare in questa sede, è quello, ben noto, delle carte utilizzate con finalità promozionali da moltissime aziende (anche in campo formativo e culturale: si pensi ad esempio alle carte di fidelizzazione delle librerie). In questi casi, la carta consente di ‘accumulare’ punti – o, in alcuni casi, direttamente valore monetario – che possono poi essere ‘spesi’ sia per ottenere “more of the same” (altra benzina, altri libri…) sia per ottenere ‘premi’ di altro genere. In questi casi, la percezione dell’utente è effettivamente quella di un accumulo di valore, anche se a fronte di una spesa anticipata e sostenuta interamente con fondi propri.

È possibile pensare a un intervento complessivo di promozione della cultura e della formazione che utilizzi un meccanismo capace di riunire il meglio di questi diversi modelli? Un meccanismo che si rivolga a tutti, ma permetta di differenziare in maniera flessibile singoli interventi anche in funzione di fattori specifici (come la professione o la situazione economica o occupazionale)? Un meccanismo che riesca a far percepire le spese in cultura e formazione come effettivamente associate a un vantaggio, anche in termini di ritorno economico, e comunque a un sostegno semplice ed efficace da parte dello Stato? Un meccanismo che possa essere utilizzato, in forme diverse ma con eguale semplicità, da amministrazioni centrali e locali, e in determinati casi anche da privati?

Per ottenere questi obiettivi, si potrebbe lavorare alla realizzazione di una carta di credito formativo e culturale – oggi evidentemente gestibile anche in forma virtualizzata – che abbia le seguenti caratteristiche:

  • Sia disponibile per ciascun cittadino, indipendentemente dall’età o dalla condizione economica o occupazionale (cultura e formazione servono a tutti).
  • Permetta di accumulare valore economico effettivamente spendibile – attraverso una convenzione con uno o più fra i maggiori circuiti e attraverso PIN personale, come nel caso della social card, o riconoscimento su smartphone – in maniera del tutto libera: per altre spese in cultura e formazione (in questo caso, con un meccanismo che può eventualmente essere ulteriormente premiale), ma anche per altre tipologie di spesa, inclusi i pagamenti di imposte.
  • Possa essere usata con facilità per garantire un ‘reward’ pubblico nel caso di successi formativi legati all’iter della formazione formale (ad esempio, si potrebbe prevedere un accredito automatico sulla carta dello studente per prove ed esami sostenuti e superati con un buon voto: lo Stato – e/o l’Università, e/o il Comune… – premia lo studente che studia bene).
  • Possa essere usata con facilità anche nel caso di progetti specifici (ad esempio attraverso il riaccredito totale o parziale sulla carta delle spese relative a formazione andata a buon fine o acquisto attrezzature, nei casi di riqualificazione professionale, avviamento al lavoro ecc. per i quali si utilizzavano meccanismi di voucher formativo o di carta di credito formativa).
  • Possa essere usata con facilità in tutti i casi in cui lo stato voglia garantire una soglia di copertura per acquisti legati alla crescita in competenze e cultura di determinate categorie: ad esempio la App 18 o la Carta docente; per fare un esempio più generale (e forse più utile), le spese in libri, formazione e cultura effettuate sulla carta potrebbero essere immediatamente o annualmente riaccreditate fino a una determinata soglia annua nel caso degli insegnanti o degli studenti.
  • Possa essere usata in campagne nazionali o locali anche con finanziamenti misti pubblico-privato (ad esempio nel caso di campagne di promozione della lettura, della frequentazione di teatri, concerti e musei, ecc.).
  • Possa sostituire le carte fidelizzazione nel caso di esercizi convenzionati (librerie di catena, librerie indipendenti, esercizi culturali…), con un accredito in questo caso coperto economicamente dall’esercizio stesso o dalla relativa associazione di rappresentanza (in altri termini, facendo un acquisto presso la libreria X la carta di credito è riconosciuta come carta di fidelizzazione di quella stessa libreria, e porta all’accredito di una percentuale di quanto speso).

Tecnicamente, una carta unificata di questo tipo è oggi realizzabile senza particolari problemi, in forma di carta-chip e/o di app, e potrebbe essere inoltre ulteriormente utilizzata come e-portfolio professionale e culturale, prevedendo una registrazione permanente in corrispondenza di determinati traguardi formativi (ad esempio laurea, abilitazione professionale, corsi di qualificazione e perfezionamento…). Volendo, queste funzionalità sarebbero implementabili anche direttamente sulla carta di identità elettronica.

Una carta di questo genere avrebbe molti vantaggi – sia pratici, sia psicologici – rispetto alle soluzioni parziali e ‘locali’ ricordate in precedenza. E ridurrebbe notevolmente le spese di implementazione di iniziative al momento singole e occasionali, aiutando a ricondurle all’interno di un framework comune.

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