PNRR e amministrazione della giustizia: progetti di robojustice

L’adeguamento dei servizi giudiziari al progresso tecnologico prefigurato dal PNRR rappresenta una occasione per accelerare l’ammodernamento del sistema giustizia. Se promuovere la digitalizzazione e standardizzazione dei provvedimenti dei giudici e degli avvocati è certamente necessario, non è di certo sufficiente. Bene sarebbe porsi l’obiettivo di promuovere, tramite strumenti di Intelligenza Artificiale, un più elevato livello di certezza nell’interpretazione delle norme e, quindi, di prevedibilità algoritmica degli esiti processuali.

 

Il dibattito sul possibile ruolo che può rivestire l’innovazione tecnologica nel sistema giustizia è tornato nuovamente di attualità con l’approvazione del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [una sintesi in Le misure per la Giustizia nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (camera.it)] programmando, tra l’altro, il potenziamento delle «infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti».

Occorre subito rilevare che quanto inserito nella programmazione rappresenta, come oramai ritenuto da tempo, una necessità e non una semplice opportunità.

Alla base vi è un’aspirazione “basilare” all’adeguamento dei servizi giudiziari al progresso tecnologico, cogliendo benefici già sperimentati in altri ambiti della P.A.

La proposta è quella di accelerare “tentativi” (già prospettati)  di standardizzazione degli atti del giudice e dell’avvocato (si richiamano in tema le circolari CSM 5/07/2017, 22/11/2017 e 20/06/2018, che formulano schemi funzionali di provvedimenti, individuati come modelli virtuosi), secondo uno schema informatico condiviso per eliminare incertezze e farraginosità, con benefici sotto il profilo della chiarezza delle questioni e della celerità delle procedure, al fine di migliorare la dialettica tra le parti e valorizzare le comunicazioni nel processo.

La standardizzazione della “motivazione”, in particolare, si pone come un primo passo verso la prospettiva di veri e propri modelli tipizzati delle decisioni assumibili dal giudice che si appoggia al sistema informatico.

Nonostante voci critiche di alcuni stakeholder, sollevatesi già a seguito della presentazione del PNRR, con riguardo alle linee di riforma della giustizia, per quanto interessa lo specifico aspetto di cui qui di vuole dar corto, occorre prendere atto di quanto sia diffusamente avvertita l’esigenza di ammodernare l’erogazione di prestazioni “di giustizia”. Ciò anche se, per contro, l’efficienza, intesa come economicità e rapidità, si è dimostrata assumere una fisionomia assai peculiare rispetto ad altri settori della P.A. e del mercato, non sempre collimante con le specificità dell’amministrazione di un “bene” come quello della Giustizia.

Già, nelle Raccomandazioni specifiche all’Italia del 20 luglio 2020 il Consiglio europeo aveva, però, nuovamente insistito nell’invitare l’Italia ad adottare provvedimenti volti a migliorare l’efficienza del sistema giudiziario.

Infatti, se è vero che tradurre il concetto di efficienza nell’amministrazione della giustizia in linguaggio informatico o ancora in una formula di tipo logico-matematico non appare semplice da attuare, è altrettanto vero che il permanente obiettivo di garantire un più elevato livello di certezza nell’interpretazione delle norme e, quindi, di prevedibilità degli esiti processuali, è rimasto, sin qui, oltremodo trascurato.

Weber (in Economia e società) sosteneva che il diritto è basato su regole scritte e che la certezza del diritto altro non è se non la prevedibilità dell’esito giudiziale. Sulla base di queste premesse, tuttavia, la domanda se si può ridurre il rendere giustizia in ciascun singolo e specifico caso concreto all’applicazione scientifica di un algoritmo apparirebbe per ciò solo scontatamente negativa. Così però non è sempre vero. Il dibattito è aperto e da più parti, anche in altri ordinamenti, ci si chiede: può il processo di interpretazione delle norme e di decisione di un giudice tradursi in un algoritmo?

Se con “processi decisionali algoritmici” si intende fare riferimento a procedimenti logico-matematici in grado di simulare il ragionamento umano – i c.d. sistemi di AI “forte” – e quindi in grado di sostituire il ragionamento del giudice, occorre chiedersi se questo è ciò che serve alla giustizia in Italia e, ancor prima, se auspicabile, oltre che realizzabile.

Se invece si intende fare riferimento a c.d. sistemi di IA “debole”, quali i natural language processing e machine learning (incrocio di gran mole di dati in entrata, ricerca di correlazione tra dati, deduzione di un modello e applicazione del modello ai casi in entrata, in autoapprendimento), allora probabilmente la questione merita di essere approfondita.

È indubitabile che una delle straordinarie novità delle intelligenze artificiali moderne (IA) sia proprio quella di poter elaborare dati, in maniera massiccia, aggregandoli e disaggregandoli fra loro, come solo un numero enorme di ricercatori potrebbe svolgere, ad una velocità elevatissima e difficilmente eguagliabile da un essere umano.

Una maggiore rapidità nell’amministrazione della giustizia tramite la promozione del ricorso a c.d. decisioni “algoritmiche” risulterebbe utile e proficua solo se la prestazione robotica riuscisse a garantire il medesimo standard qualitativo di quella umana, assicurando il pieno rispetto del principio di tutela giurisdizionale effettiva; solamente così, infatti, la decisione “robotica” (come pure viene definita) sarebbe in grado di soddisfare al tempo stesso quella maggiore certezza giuridica sopra auspicata.

Nonostante la capacità delle macchine di imparare da sé stesse, attraverso il c.d. “machine learning” o addirittura di elaborare nuovi percorsi di apprendimento con il c.d. “deep learning”, tuttavia, alle stesse manca la capacità, tutta umana, di valutazione delle molteplici variabili impreviste o imprevedibili: il cosiddetto discernimento. Questo certamente rappresenta uno dei limiti più delicati.

Nondimeno, tradurre in linguaggio informatico (come pure, in parte, già avvenuto) le regole del processo rappresenta certamente un obiettivo importante sul quale le Istituzioni, come stanno correttamente facendo, devono continuare a riflettere e investire.

L’analisi delle questioni poste dovrebbe, però, tenere debito conto anche delle esperienze straniere (per le quali si rimanda a https://revistas.uexternado.edu.co/index.php/derpri/article/view/6919/9486), non tutte pienamente positive, ma utili sia per comprenderne gli sviluppi utili nel nostro ordinamento, sia per indirizzare al meglio i progetti di riforma in atto.

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