Uno dei più amati dirigenti espressi dal Partito comunista italiano, Pietro Ingrao, fu – dal 5 luglio 1976 al 19 giugno 1979 – presidente della Camera dei deputati (il primo del Pci, poi lo seguì Nilde Iotti). Era nato a Lenola (provincia di Latina) nel 1915, in una famiglia di piccoli impiegati. Dopo il passaggio (che fu quasi rituale per la sua generazione) in quel luogo di formazione ma anche di coltivazione del dissenso che furono i Guf fascisti, aderì alla resistenza, prendendovi parte con responsabilità crescenti. Conobbe e si legò non solo politicamente a giovani comunisti quali Paolo Bufalini, Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli, Bruno Sanguinetti e prima ancora, anche per le comuni frequentazioni letterarie, Antonello Trombadori, Renato Guttuso, Girolamo Sotgiu. Dopo l’8 settembre e sino al 25 aprile diresse l’ “Unità” clandestina. Sposò Laura Lombardo Radice (la sorella del suo compagno di lotta Lucio), che sarebbe stata poi, al suo fianco, la compagna di tutta una vita. Deputato dal 1948, membro della direzione del Pci dal 1956, fu al tempo stesso chiamato alla segreteria nel settore stampa e propaganda. Non volle condannare l’invasione sovietica dell’Ungheria, fiancheggiando in ciò la posizione assunta da Togliatti. Nella successiva evoluzione del Pci assunse una posizione che si potrebbe definire “di sinistra” (contrapposta a quella via via impersonata da Giorgio Amendola, invece considerata “di destra”). Ciò lo indusse a diffidare del primo governo di centro-sinistra a partecipazione socialista, mentre guardava con crescente interesse invece alle posizioni dell’ala ex dossettiana della Dc e in generale agli spostamenti che, dopo il Concilio Vaticano II, interessarono il mondo giovanile cattolico. Via via questa posizione “anomala” e non del tutto allineata col gruppo dirigente (rappresentato al momento da Longo e poi da Berlinguer) divenne caratteristica del suo essere un comunista in un certo modo “eretico”. Uscito dalla segreteria, dovette assistere alla radiazione dal Pci del gruppo a lui vicino del “Manifesto” (Rossanda, Natoli, Pintor, Parlato, Magri). Non seguì però la strada di quel gruppo: prevalse quella che fu sempre una sua incrollabile convinzione, tipica del resto di una intera generazione di vecchi militanti, doversi cioè sostenere nel partito le proprie idee ma senza mai arrivare al limite estremo e irreparabile di scindersi dal corpo vivo del partito stesso. Nel 1976 la sua designazione a presidente della Camera fu la conseguenza della performance elettorale alle politiche, quando il Pci aveva quasi realizzato il sorpasso della Dc. In queste poche righe, tratte da una intervista (in realtà un dialogo) di Giuliano Amato apparsa nel periodico socialista “Mondoperaio”, Ingrao chiarisce quella che fu la sua linea come presidente della Camera, volta a realizzare – a partire dal Parlamento restituito al suo ruolo costituzionale di centro del sistema delle istituzioni democratiche (“la centralità del Parlamento) – una profonda riforma del modo di governare, della funzione dei partiti, della dialettica tra i vari soggetti del complesso panorama delle istituzioni: “Sta a questo libero Parlamento – aveva detto insediandosi nel seggio più alto di Montecitorio – di essere sempre più, come chiede la Costituzione, l’organo che promuove ed unifica questa originale democrazia di popolo che caratterizza il nostro paese”.
Emergono problemi anche politici. Per esempio il problema acutissimo del funzionamento collegiale dei governi. Io ritengo che sia un problema maturato da tempo, che scaturisce dal modo stesso con cui sono stati formati i governi in questi anni. È un fatto, in ogni modo (…), il peso dei conflitti e delle divergenze tra l’uno e l’altro ministero. Uno dei disegni di legge che noi avevamo all’esame, riguardante la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, è rimasto fermo per lunghi mesi in commissione per un dissenso tra tre ministeri. In altri casi è toccato al presidente di commissione di farsi garante presso un ministro della volontà di un altro ministro. Altre volte il complesso degli emendamenti governativi arrivava assai tardi, quando il lavoro delle commissioni era già assai avanti. Questo non facilita. Il Parlamento ha bisogno di avere un interlocutore governativo che funzioni in modo effettivamente collegiale, secondo una visione organica.
Parlamento, partiti e società civile, intervista con Giuliano Amato, in “Mondooperaio”, 1978, n. 1, pp. 59-66. Ora anche in Pietro Ingrao negli anni della Presidenza della Camera (1976-1979), Roma, 2015.