Patemi e gioie di un giovane addetto al censimento: Roma nel dopoguerra vista da vicino

Alessandro Petruccelli (nato a Santi Cosma e Damiano nel 1936), laureatosi in lettere, professore alle scuole medie e poi alle superiori, nel 1972 vinse il Premio Rapallo Prove per la narrativa inedita con un romanzo: Un giovane di campagna (Editori riuniti, 1976). Nel dopoguerra, giovanissimo, fece per necessità economica l’addetto al censimento, dalla quale esperienza trasse un interessante volume, “Una cartella piena di fogli”, prefato da Geno Pampaloni e pubblicato sempre da Editori riuniti nel 1991 (la seconda edizione, rivista, che qui si cita è edita  da Interlinea edizioni, Novara, 2001). Oltre a raccontare in forma piana e quasi diaristica la vita di allora, in una Roma ancora ferita dalla guerra, descrivendo gli interni delle case visitate (siamo più o meno intorno a Piazza Vittorio) e l’umanità popolana che le abitava, Petruccelli con delicatezza allude a un amore (forse solo provvisorio) e in genere ai rapporti con la gente: una galleria ampia e a tratti bizzarra di tipi umani. 

Un nuovo isolato, un nuovo palazzo. Secondo gli ultimi consigli ricevuti, entro e chiedo al portiere le condizioni del palazzo stesso, cioè quanti appartamenti ci sono, se ce n’è qualcuno sfitto, se ci sono uffici e di che genere. Il portiere, un tipo giovanile, mi informa che gli appartamenti sono tutti abitati, che c’è un solo ufficio e si interessa di mobili pregiati e mi prega di ritornare nel caso che all’interno 18 non trovi nessuno, essendovi delle persone con le quali lui non vuole avere a che fare; per gli altri inquilini posso lasciare tutti i messaggi che voglio. (…) 

Solo dopo aver suonato due volte una voce mi chiede: “Chi è?”. “Censimento, Signora”, poiché è una voce di donna. “Chi è”, richiede. “Censimento!”. “Un momento”. Esce un signore con una calvizie luccicante, tutto adirato: “Lei non entra”. “Ma io non voglio entrare, devo solo distribuire dei moduli”. “Me li dia qui”, con un tono come se lo avessi seccato abbastanza. “Mi dica per favore il nome del capofamiglia”. “Sono io”. “Allora mi dica il suo nome”. Scrivo il suo nome, lo invito a firmare e, nell’andar via, mi scappano cortesi parole di saluto. Lui invece fa il coerente e mi sbatte la porta in faccia. 

Questa signora (…) mi fa invece accomodare in cucina dove sta preparando un dolce; mi offre dei confetti e io li mangio in onore della figlia sposata; se posso attendere, volentieri mi farà “un buon caffè”. Non attendo per non incomodarla troppo.

Ancora un’altra signora. Mi chiede con chi deve essere censito un bambino che ha adottato da poco. “Con lei, signora”. “Eccolo”, esclama e mi mostra la fotografia, perché sta a scuola. “Il padre e la madre non immagineranno mai di quale gioia si sono privati”, mi dice ancora. 

Mi accoglie il suono di un pianoforte. Ma ormai non è una novità. Già in altre case ho trovato ragazzetti e ragazzette che suonavano il piano. Però questo fatto mi piace. Se è vero che la musica ingentilisce gli animi, la prossima generazione sarà certamente più umana e più bella. Al mio “buona sera” risponde “buona sera” in tedesco. Poi si corregge e ripete il saluto in italiano. Si chiama Giovanni e mi rivela che, sebbene faccia attenzione, inavvertitamente gli scappa ancora. Questo perché è emigrato in Germania e vi è rimasto per circa vent’anni. Ora solo da pochi mesi abita a Roma dove i suoi figli hanno trovato lavoro.

Alessandro Petruccelli, Una cartella piena di fogli, prefazione di Geno Pampaloni, Novara, Interlinea edizioni, 2001 (ed. riveduta della originale, Roma, Editori riuniti, 1976, pp. 41-42).