“Orizzonti”: gli Editoriali dell’OSD – Numero 14, giugno 2025 – Transizione digitale e sviluppo sostenibile: logiche e contraddizioni di un rapporto complesso

La Bussola per la competitività dell’UE individua nella transizione digitale e nello sviluppo sostenibile due dei tre pilastri che sosterranno la crescita economica nel prossimo futuro. L’importanza delle due politiche risiede anche nella loro complementarità, che rende indispensabile coordinarne i processi di attuazione. Nel presente contributo cercheremo di analizzare le logiche sottese a questo rapporto, che si distinguono nel confronto tra il settore pubblico e quello privato. Cercheremo inoltre di evidenziare le sinergie e le tensioni che lo interessano, in modo da tracciare possibili linee di intervento per il prossimo futuro.

Iniziamo dal settore pubblico. L’art. 9 Cost. impone alla Repubblica di tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Similmente, l’art. 11 TUE prescrive all’Unione di integrare le esigenze di tutela dell’ambiente in tutte le proprie azioni. Le istituzioni hanno perciò un ruolo attivo nel promuovere lo sviluppo sostenibile, al quale devono adempiere anche attraverso l’esercizio della funzione amministrativa. L’eterogeneità di questa funzione ben si presta a un’altrettanto estesa applicazione delle tecnologie digitali.

Le tecnologie digitali, ad esempio, possono essere utilizzate dalle pubbliche amministrazioni per erogare servizi più sostenibili ai cittadini. Uno dei modelli ricorrenti è quello delle smart cities, che mira a integrare sistemi come l’intelligenza artificiale e l’internet delle cose nella governance pubblica. Su più ampia scala, possiamo guardare al meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, che istituisce tariffe per le merci in ingresso da Paesi terzi in cui vigono standard ambientali meno stringenti di quelli dell’Unione. Qui, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) rappresentano uno strumento necessario sia per calcolare che per riscuotere le tariffe.

La tutela dell’ambiente è uno dei mandati riconosciuti al settore pubblico. Pertanto, finché le tecnologie digitali saranno funzionali allo sviluppo sostenibile, è ragionevole aspettarsi che le istituzioni continuino a integrarle nelle proprie attività. Sul piano teorico, il processo di digitalizzazione ha perciò valide ragioni per non esaurirsi. All’atto pratico, invece, gli ostacoli da affrontare sono molti, dalla mancanza di competenze, sia tecniche che manageriali, all’inadeguata dotazione finanziaria (tra i tanti casi approfonditi da questo Osservatorio, si vedano quelli in tema di contratti pubblici e intelligenza artificiale).

Proseguiamo ora con il settore privato. Un recente studio (Niehoff, 2022) ha riscontrato che le tecnologie digitali vengono adottate dalle imprese prevalentemente secondo un’ottica business centered, per la quale la tutela l’ambiente assume un ruolo secondario rispetto all’aumento del profitto aziendale. Possiamo così partire dalle due componenti del profitto, i ricavi e i costi, per discutere del rapporto tra transizione digitale e sviluppo sostenibile.

Semplificando, i ricavi aumentano a fronte di una domanda crescente o di un maggiore apprezzamento dei prodotti. Le tecnologie digitali possono quindi essere sfruttate dalle imprese per intercettare i bisogni emergenti dei consumatori, attraverso strategie di marketing quali il social listening. In questo modo, in presenza di consumatori sempre più interessati alla sostenibilità dei loro acquisti, le imprese sono indotte a ridurre i propri impatti sull’ambiente nell’intento di aumentare i ricavi. Nondimeno, le TIC si rivelano uno strumento funzionale ad ampliare i canali della disclosure ambientale, finalizzata a definire il posizionamento di un’impresa. È il caso, ad esempio, delle campagne condotte attraverso i social media.

Valutando i costi, le tecnologie digitali sono viste in via principale come strumenti per aumentare la produttività. Questo perché consentono sia di rilevare e correggere le inefficienze dei processi esistenti, sia di sviluppare processi innovativi. Infatti, già nel 2016, riprendendo il concetto di Industria 4.0, la Commissione europea segnalava le opportunità offerte da tecnologie come la robotica, l’analisi dei dati, il cloud computing e altre. Un ulteriore esempio è dato dalla riduzione degli oneri amministrativi legati al rispetto delle prescrizioni normative. È il caso della gestione informatizzata dei monitoraggi prescritti nelle autorizzazioni all’esercizio, che permette di razionalizzare la manodopera impiegata. Sotto il profilo dei costi, la diminuzione degli impatti ambientali rappresenta così una naturale conseguenza della ricercata efficienza.

Nei casi proposti, i benefici ambientali non rappresentano l’obiettivo primario del processo di digitalizzazione. La logica di convenienza economica consente però di elaborare due distinte prospettive. Se guardiamo al fattore costi, raggiunto il desiderato livello di efficienza e rispettate le prescrizioni, le imprese sono meno interessate a introdurre nuove tecnologie digitali a vantaggio dell’ambiente. Al contrario, ponendo l’attenzione sulla componente ricavi, il processo di digitalizzazione incontra un limite meno rigido. Se i consumatori sono influenzati dalle performance ambientali dei prodotti e dei produttori, essi possono orientare le imprese verso l’introduzione di sistemi di sempre minore impatto.

Le istituzioni possono così avvalersi di diversi canali di intervento. Per favorire l’efficientamento dei processi produttivi, esse potrebbero erogare incentivi e inasprire i vincoli normativi. Nel primo caso, verrebbe modificata la valutazione sulla convenienza degli investimenti in innovazione; nel secondo, verrebbe forzata l’introduzione delle tecniche desiderate. Quanto alla componente dei ricavi, le istituzioni potrebbero intervenire sulla struttura del mercato. Ad esempio, migliorando l’informazione sulla sostenibilità dei prodotti, potrebbero incrementare la consapevolezza dei consumatori in fase di acquisto.

Quale la soluzione ideale? Sia l’agenda europea che quella nazionale appaiono chiare nel voler semplificare gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese. Introdurre standard più stringenti per promuovere la digitalizzazione appare un’azione contraria a tale logica. D’altro canto, è legittimo sostenere anche la tesi opposta, ovvero che le prescrizioni normative possono rappresentare un volano per l’innovazione, in grado di contrastare le inefficienze di un settore (come nel caso del mercato delle auto elettriche). Valutando invece gli incentivi, nel tempo sono stati adottati diversi programmi e altrettanti sono quelli ancora in vigore. A livello europeo possiamo citare il programma Europa digitale, mentre in ambito nazionale un riferimento è il Piano Transizione 5.0. Infine, anche il condizionamento del mercato rappresenta una strategia pienamente attuale, come dimostra la recente introduzione di un’etichettatura sull’efficienza energetica e sulla riparabilità dei dispositivi elettronici.

Tuttavia, promuovere la transizione digitale non si rivela una scelta corretta in assoluto, in quanto occorre considerare anche la dimensione inversa del rapporto che la lega alle politiche ambientali. Le tecnologie digitali, infatti, possono avere esse stesse impatti rilevanti sull’ambiente, dati dai maggiori consumi di energia e di risorse naturali o dalla produzione di rifiuti elettronici. In un precedente editoriale di questo Osservatorio si è già discusso dell’esistenza di numerosi trade-off, evidenziando la necessità di pensare a un principio di sostenibilità digitale. Per una sistematica valutazione di tali criticità è possibile guardare anche alla Relazione di previsione strategica 2022 della Commissione europea, denominata «Abbinamento tra transizione verde e transizione digitale nel nuovo contesto geopolitico».

A complicare ulteriormente il quadro, entrambe le politiche implicano trasformazioni sostanziali del nostro sistema economico. La transizione digitale diviene possibile solo grazie a interventi significativi a livello infrastrutturale, che vanno dal potenziamento delle infrastrutture “tradizionali”, come la rete elettrica e i sistemi di accumulo, alla realizzazione delle infrastrutture “digitali”, come i centri di elaborazione dati. In seguito, la transizione digitale può diventare sostenibile solo a fronte di una radicale transizione verso la produzione di energia a basse emissioni, come nel caso delle energie e dell’idrogeno rinnovabili o del nucleare.

Pare quindi opportuno concludere questa panoramica sul rapporto tra digitalizzazione e ambiente rimarcandone la complessità. Complessità dovuta prima a sinergie e tensioni non facili da bilanciare, anche nei confronti di altri interessi rilevanti, come quelli di carattere sociale o geopolitico (per esigenze di spazio, non abbiamo trattato temi come il futuro del mercato del lavoro, l’approvvigionamento di materie critiche e la cybersicurezza). Complessità dovuta poi a una pluralità di attori con logiche di azione differenti, che deve essere coordinata in un percorso obbligato verso la decarbonizzazione. Se nel settore pubblico vige un obbligo di mandato, che circoscrive i principali ostacoli alla mancanza di capacità amministrativa, nel settore privato è necessario considerare anche la convenienza economica del declinare processi di digitalizzazione a beneficio dell’ambiente.

Assicurare tali trasformazioni è naturalmente una responsabilità che grava sulle istituzioni. La risposta iniziale potrebbe essere quella di dotarsi di strumenti altrettanto complessi, secondo un approccio razionale-sinottico. D’altronde, le stesse TIC possono contribuire alla formulazione di politiche particolareggiate, ad esempio facilitando la consultazione con i diversi stakeholder o analizzando elevati volumi di dati. Tuttavia, nel suo ultimo saggio, De Toni ci ricorda che il contesto in cui un sistema opera è sempre più complesso del sistema stesso. Prevedere ogni possibile evoluzione dello scenario globale è, dunque, un esercizio irrealistico.

Finora, il percorso verso la duplice transizione digitale e ambientale si è caratterizzato per obiettivi e strategie di attuazione ambiziosi. Per gestirne l’evoluzione, appare necessario monitorarne i progressi e correggerne le criticità. Un approccio di tipo incrementale da un lato garantirebbe la coerenza nel tempo delle principali decisioni prese, dall’altro rimarrebbe aperto a recepire soluzioni innovative. La raccomandazione è quella di mantenere un presidio costante e di essere tempestivi nell’adottare i giusti rimedi: l’Europa vede allontanarsi Cina e Stati Uniti nella corsa al mercato digitale, mentre vede avvicinarsi progressivamente gli effetti del cambiamento climatico.

*Le opinioni qui espresse hanno carattere personale e non impegnano in nessun modo l’amministrazione di appartenenza dell’autore.

 

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