
Giorgio Ruffolo (Roma, 1926-2023) fu, dal 1964 sino al 1975 (con una interruzione nel 1969-70 per contrasti col ministro Preti) il primo segretario generale per la programmazione. Legatissimo ad Antonio Giolitti, nel ’64 ministro al Bilancio e programmazione, aveva all’epoca già alle spalle la significativa esperienza dell’Eni di Mattei, dove collaborando strettamente con Giorgio Fuà aveva di fatto diretto un dipartimento cruciale, nel quale confluivano molte delle decisioni dell’ente (una sorta di cabina di comando, la si potrebbe chiamare); prima ancora – come avrebbe poi ricordato nel suo libro di memorie del 2007 (Il libro dei sogni, titolo polemico verso una celebre battuta di Fanfani) – aveva preso parte nel 1953, come collaboratore esterno, a due inchieste parlamentari, quella sulla miseria e quella sulla disoccupazione (della seconda poi avrebbe scritto una sorta di bilancio in “Cronache”, una rivista diretta allora da Antonio Gambino). Dall’Eni era uscito dopo la morte di Mattei, anche per l’obiettiva diversità di vedute con Eugenio Cefis, che, dopo la parentesi di Boldrini, aveva assunto la presidenza. Socialista ma stimatissimo da La Malfa, Ruffolo fece subito parte di quella élite che fu inizialmente al centro delle nuove politiche di centro-sinistra: Giorgio Fuà e Paolo Sylos Labini, per primi; ma anche Ernesto Rossi e gli “Amici del Mondo”, Eugenio Scalfari, Adriano Olivetti e i suoi collaboratori a Ivrea ecc. Fu poi europarlamentare (1979-1983 e 1994-2004), deputato (1983-1987), senatore della Repubblica (1987-1994) e nel 1987-1992 ministro per l’Ambiente. Al Ministero del Bilancio, chiamatovi per la prima volta da La Malfa e Giolitti, avrebbe dovuto misurare di persona la differenza tra il fatiscente Stato burocratico e il moderno apparato esecutivo che Enrico Mattei aveva creato all’Eni.
Al cosiddetto Ufficio del programma, che io dirigevo ma che non esisteva giuridicamente nell’amministrazione, fu assegnato in via provvisoria, cioè per circa dieci anni, un lungo corridoio, simile a quello di un penitenziario (ogni tanto ci si vedevano dei sorci immensi, a caccia di gattini spauriti), e un personale distaccato dai luoghi più disparati e remunerati con decreti di esperti che dovevano essere firmati ogni mese dal ministro, con controfirme di almeno due o tre ministri e visti vari della Ragioneria e della Corte dei conti. (…) Sotto il primo Natale la situazione divenne insostenibile e io sospesi ogni altra attività per capire dove quei maledetti decreti si fossero fermati; la risposta era sempre la stessa: alla firma. Scoprii che quei decreti stavano in un cassetto della Ragioneria, in attesa dei nastrini tricolori che dovevano fregiarli e dei quali pare si fosse esaurita la partita. Quando leggo le dotte disquisizioni politologiche, i bizantinismi degli anni successivi sul ‘fallimento della programmazione’, qualche volte mi viene da ridere.
Giorgio Ruffolo, Il libro dei sogni. Una vita a sinistra raccontata da Vanessa Roghi, Roma, Donzelli, 2007, pp. 7-8.