Le confessioni dell’indice DESI

Lo strumento della Commissione europea mostra un peggioramento dell’Italia rispetto allo scorso anno. La lentezza dei processi nazionali è una amara conferma delle carenze del Paese, che stenta a intraprendere un cammino più deciso in materia di digitalizzazione e, incredibilmente, fa anche passi indietro.

È stato pubblicato a giugno l’indice DESI (Digital Economy and Society Index), strumento utilizzato dal 2014 dalla Commissione europea per monitorare il progresso digitale degli Stati membri dal 2014. La posizione dell’Italia è ancora pessima. Ed è peggiorata rispetto ai dati pubblicati nel 2019, quando aveva invece fatto registrare un balzo (di due posizioni) rispetto a quelli del 2018. Dovremmo essere tra i primi, mentre dopo anni di sforzi regolatori e politici, con ambiziosi programmi nazionali, siamo ancora al quartultimo posto, seguiti da Romania, Grecia e Bulgaria.

Il 75% degli italiani usa regolarmente Internet: percentuale non secondaria, ma bassa rispetto alle altre Nazioni. Sono i servizi online, comunque, a essere maggiormente carenti. Il loro uso è ancora molto al di sotto della media degli altri Paesi. I servizi online delle pubbliche amministrazioni sono in aumento, ma nell’insieme risultano ancora poco utilizzati. Qui la posizione avanza di sei posti, ma è ancora al di sotto della media dell’Unione: inoltre, è stabile se la si compara ai dati del 2018.

Anche le condizioni sull’uguaglianza di genere lasciano molto a desiderare. Uno specifico indicatore misura la posizione delle donne: e anche qui la posizione dell’Italia è la stessa, quartultima. Ad esempio, le percentuali di donne tra gli specialisti del comparto ICT è inferiore di un terzo rispetto agli uomini.

Dunque, la situazione è, nel complesso, impietosa.

Solo alcuni elementi fanno registrare un miglioramento. Ad esempio, la politica infrastrutturale basata sulla concorrenza tra reti ha dato i suoi frutti: la connettività, infatti, è un indicatore che spicca nel caso italiano. La banda larga registra un aumento costante (con un aumento del 4% dal 2018 per le connessioni con capacità di 100 Mbps). Inoltre, vi è una forte preparazione dell’Italia al 5G, che la pone all’avanguardia, ponendosi al terzo posto (da ricordare l’eccellente gara definita dall’Agcom, che ha consentito un gettito tre volte superiore alle aspettative, diventando un benchmark europeo quanto a efficienza e sviluppo).

Ma questi aspetti, pur in controtendenza, non sono ancora sufficienti e dovrebbero spingere a un cambiamento. Del resto, se si considera il numero di occupati nel settore ICT (l’Italia è al quarto posto, con un indice di produttività vicino alla media europea), il paradosso è ancora più evidente: cosa manca per potenziare le competenze per sfruttare pienamente il comparto?

Le riflessioni sullo stato complessivo dell’Italia sono particolarmente importanti nel corso di quest’anno. La crisi pandemica ha imposto una seria spinta alla digitalizzazione. Ha rivelato come alcuni strumenti siano essenziali nel proseguire attività anche in situazioni di crisi.  Misure specifiche sono state dettate, come avvenuto con le procedure semplificate di acquisto delle apparecchiature. Tuttavia, come rilevato da recenti analisi, vi sono asimmetrie e non tutti beneficiano. Le diseguaglianze si trascinano, e le passate si riproducono anche nei nuovi ambienti (legacy), sia in termini di utilizzo delle tecnologie, sia in termini di effetti derivanti dal grado di conoscenza delle stesse (minore il primo, maggiori i rischi per il singolo). Il recupero delle competenze è uno dei tre fattori recentemente indicati Francesca Bria (oltre alle infrastrutture e alle amministrazioni) Le disuguaglianze sociali non vengono attenuate, ma incrementate da un utilizzo non corretto e ugualmente diffuso delle tecnologie. Del resto, manca una cultura diffusa, non solo tecnica, sulle implicazioni nell’uso degli strumenti della digitalizzazione, sui rischi per la privacy, sulla maggiore consapevolezza da parte dei decisori pubblici, come mostrano chiaramente i casi Microsoft e GARR. I fondi messi a disposizione per startup e altre iniziative di innovazione dovrebbero essere utilizzati considerando attentamente le carenze attuali, per fare in modo che non producano un effetto moltiplicatore dell’esistente, ma correggano le attuali e fin troppo evidenti storture.

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