La Strong AI e le opere dell’ingegno: questioni aperte in materia di diritto d’autore

L’intelligenza artificiale, più precisamente la Strong AI, è impiegata nei più diversificati ambiti del quotidiano. Una delle sue recenti applicazioni è finalizzata alla creazione di varie opere dell’ingegno – in particolare opere pittoriche –, da cui sono originati numerosi quesiti circa la loro titolarità e la loro tutela.

Tra i protagonisti della quarta Rivoluzione industriale (la c.d. Industria 4.0), l’attuale fase economica caratterizzata da nuovi sistemi produttivi automatizzati e interconnessi tecnologicamente, l’intelligenza artificiale (dall’inglese Artificial Intelligence, “AI”) ricopre un ruolo centrale. Essa può essere intesa come quella “disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer”, che “[…] si sviluppa secondo due percorsi complementari: da un lato l’i. artificiale cerca di avvicinare il funzionamento dei computer alle capacità dell’intelligenza umana, dall’altro usa le simulazioni informatiche per fare ipotesi sui meccanismi utilizzati dalla mente umana” (definizione fornita dall’Enciclopedia Treccani). Si evince, pertanto, che l’intelligenza artificiale è declinabile in diverse forme e utilizzabile per innumerevoli fini. Se intesa in senso “debole” (Light AI), l’AI tende alla riproduzione, alla “simulazione”, dell’intelligenza umana, realizzandone alcune articolate funzioni, nel ruolo di un innovativo problem-solver. L’AI in senso “forte” (Strong AI), invece, imita in modo puntuale le abilità cognitive dell’uomo, rispetto a cui quelle “artificiali” non sono facilmente distinguibili. Verso tale direzione è rivolta la sperimentazione continua di nuove forme di Machine learning, cioè di sistemi tramite cui le macchine apprendono in modo automatico, senza essere preventivamente programmate dall’uomo, migliorando le proprie capacità mediante i dati empirici. Tra questi si colloca il Deep learning, un meccanismo di “apprendimento profondo” di dati attraverso algoritmi di calcolo statistico.

Il Generative Adversarial Network (GAN) è un algoritmo ampiamente utilizzato per la creazione delle più svariate opere dell’ingegno (tra cui opere letterarie, pittoriche e, anche, musicali), una delle recenti applicazioni della strong AI. Il GAN contiene al proprio interno due algoritmi: un “generatore” è destinato alla creazione di immagini originali, la cui provenienza è determinata da un “discriminatore” che deve riconoscere se siano ricavate dal database oppure realizzate dal generatore stesso. Il secondo algoritmo viene costantemente “ingannato” dal primo: ogni qual volta, infatti, il discriminatore si accorga che le immagini sono create dal generatore, quest’ultimo è incentivato a migliorarsi, creandone altre sempre più originali.

È proprio mediante questo algoritmo che sono state prodotte nuove opere d’arte: note, tra tante (già nel 2016 sono state vendute ben ventinove opere di Google AI), le Memories di Mario Klingemann, una serie infinita di ritratti tramessa su due schermi, e Il ritratto di Edmond Belamy, venduta all’asta presso la sede di Christie’s di New York, nell’ottobre del 2018. Questo dipinto, ritenuto dal discriminatore artificio umano, è stato il risultato dell’inserimento nel GAN di circa 15.000 ritratti realizzati tra il XIV e il XX secolo.

Numerosi interrogativi si pongono relativamente alla titolarità delle opere d’arte create dalla Strong AI: in particolare ci si chiede se possano essere soggette a copyright e chi vada considerato l’autore e il titolare dei relativi diritti. Affinché un’opera dell’ingegno venga tutelata è necessario che sia originale, creativa e nuova: deve essere, cioè, evidente l’elemento innovativo frutto della personalità dell’autore. Se taluni ritengono che il nesso tra l’attività intellettuale dell’autore e l’opera dell’ingegno sussista anche qualora questa sia prodotto autonomo dell’AI, secondo altri ciò non può essere affermato poiché l’AI si avvale di precedenti opere creative dell’uomo. Il dibattito è, pertanto, ancora aperto, anche alla luce della posizione della Corte di giustizia dell’Unione europea nella nota sentenza Infopaq.

Relativamente alla paternità di queste opere, invece, ci si domanda se possano essere considerati come autori anche le macchine oppure unicamente l’uomo. Se la Convenzione di Berna e la maggiore dottrina italiana inducono a ritenere che solo una persona fisica possa essere autore a titolo originario dell’opera, il Parlamento europeo, nel 2017, ha proposto di adottare un approccio “orizzontale e neutrale” alla proprietà intellettuale nei settori in cui è impiegata la robotica.

È possibile, dunque, concludere che si prospettano diverse ipotesi, nessuna delle quali ancora rodata: può essere considerato titolare dei diritti d’autore l’ideatore e creatore della macchina; colui che ne ha impostato le funzioni; oppure il proprietario della macchina, cioè colui che ne sfrutta le creazioni a fini commerciali. L’orientamento più diffuso è concorde nell’anticipare l’atto creativo al momento della programmazione della macchina, dell’inserimento in essa di input e dati, così riconducendo l’opera dell’ingegno finale alla “creatività” dell’autore-programmatore.

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