Jordi Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, Giappichelli, Torino, 2019

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale condizionerà sempre più l’attività processuale, divenendo un irrinunciabile strumento di ausilio per il giudice e per le parti, le cui scelte, però, non potranno essere sostituite da un algoritmo. La macchina, infatti, a differenza degli esseri umani, non provando emozioni, non vive la sorpresa, ossia quel momento emozionale, che predispone all’apprendimento di informazioni nascoste, funzionali al processo decisionale.

L’Autore esamina, attraverso un linguaggio chiaro ed un’analisi realistica, la possibile applicazione dell’intelligenza artificiale al processo.

Si tratta di un lavoro monografico che verte non già sull’intelligenza artificiale, bensì sul diritto processuale e sulle relazioni che l’intelligenza artificiale può instaurare con le differenti fasi del processo.

L’Autore tenta, così, di verificare i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’utilizzo di una tecnologia, che osa imitare il pensiero umano, laddove lo stesso intenda giudicare o difendere.

E ciò avviene nella consapevolezza che la macchina, a differenza degli esseri umani, non provando emozioni, non vive la “sorpresa”, ossia quel momento emozionale, che predispone all’apprendimento di informazioni “nascoste”, funzionali al processo decisionale.

Una complessità, questa, che si manifesta oltremodo nell’esercizio argomentativo, dovendo l’interprete assicurare un’attività persuasiva che, sovente, non dipende da variabili prevedibili. Secondo l’Autore, il lavoro dell’umano interprete non può essere sminuito, se si considera che le fattispecie, mai radicalmente identiche tra loro, sono disciplinate da norme che devono, necessariamente, essere contestualizzate, al fine di comprendere compiutamente le mutate esigenze della realtà.

Dall’analisi delle varie forme di euristica (della rappresentatività, dell’accessibilità, dell’ancoraggio, dell’aggiustamento nonché affettiva) che connotano la decisione giudiziale, emerge che l’atto del giudicare altro non è che la combinazione di momenti conoscitivi, valutativi, euristici ed emozionali non agevolmente sussumibili in variabili statistiche, quindi, in un ordine prevedibile. Ed invece proprio di prevedibilità necessita l’intelligenza artificiale per potere operare correttamente.

Tuttavia, se è vero che l’agire umano possa essere imprevedibile, è altrettanto vero che la gran parte del comportamento umano si rivela prevedibile, come dimostrano gli studi epistemologici o finanche psicologici, giacché se “non ci fosse una certa ricorsività nei pensieri, allora il funzionamento del cervello sarebbe così imprevedibile che studiarlo sarebbe un compito sostanzialmente equiparabile al tentativo di contare manualmente i granelli di sabbia in un deserto” (pp. 46-47).

L’intelligenza artificiale, così, se potrà aiutare, e non poco, il giurista nella elaborazione delle argomentazioni, difficilmente potrà sostituirlo, poiché l’apprezzamento di variabili, quali la coerenza, le intenzioni o i sentimenti, necessita del vaglio umano, il quale, quindi, potrà essere supportato ma non sostituito dalla macchina.

Del resto, sapere di un documento – osserva l’Autore – è “cosa diversa dal comprendere il significato”, attività, questa, per la quale “l’essere umano è necessario” (p. 83).

Si distingue, pertanto, l’elaborazione e la ricerca dei dati – ove l’applicazione dell’intelligenza artificiale favorisce risultati “superiori a quelli che qualsiasi essere umano potrebbe ottenere” (p. 20) – dall’attività decisoria, che, viceversa, implicando un ragionamento intrinsecamente persuasivo, deve assicurare una “risposta democratica, ossia comprensibile, generalizzabile e interiorizzabile da parte della società” (p. 21).

L’algoritmo potrà, pertanto, offrire il “suggerimento” ma mai la “ponderazione, già di per sé difficile per un essere umano”, ove il giudice, attraverso la motivazione, potrà “ovviare alle armi della retorica, armi che difficilmente possono essere limitate tempestivamente da una macchina: l’appello ai sentimenti, i cambiamenti di ritmo nel discorso, l’uso del linguaggio suggestivo in un momento preciso (…)” (p. 107).

Quanto detto non esclude che anche quest’ultima attività, in linea con l’evoluzione tecnologica, possa essere automatizzata, sebbene solo in parte, non potendo la macchina sostituire radicalmente le scelte umane, pena assistere ad “una stagnazione della giurisprudenza e probabilmente dell’intero sistema giuridico” (p. 21).

Per l’Autore è proprio questo “probabilmente il tema che incute più paura”, dovendosi rifiutare l’idea che <<una macchina possa emettere sentenze, così che il nostro destino sia nelle mani, non di persone (…) ma di un programma che (…) risolve le controversie sempre allo stesso modo, non adattandosi ai mutamenti, ma addirittura riaffermando i propri “pregiudizi” nel tempo (…)>> (p. 89).

In ambito processuale, l’intelligenza artificiale, poiché volta a scongiurare e non già a favorire l’errore umano, dovrà vieppiù preservare il diritto di difesa, rendendo pienamente conoscibile il funzionamento dell’algoritmo e, quindi, i criteri attraverso cui si combinano i relativi fattori.  Di qui, la necessità di impugnare, finanche preventivamente, lo stesso algoritmo, al fine di correggerne l’utilizzo ed evitare l’adozione di decisioni viziate.

Ebbene, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, in ambito processuale, condizionerà sempre più la formazione del difensore, in quanto, se il processo si avvale della macchina, chi difende deve conoscerne le dinamiche, come parte della sua formazione. In caso contrario, l’avvocato “non potrà mai contrastare o almeno adattarsi al funzionamento degli algoritmi, proponendo alternative di difesa che vadano oltre quanto suggerito dallo stesso programma” (p. 131).

E poiché l’algoritmo opererà, progressivamente, nella complessa dinamica processuale, se “il giurista (…) non riuscirà a pensare a qualcosa di più o di diverso rispetto a quello che la macchina proporrà, allora il suo ruolo finirà per diventare superfluo” (p. 131).

Sarà, quindi, necessario distinguere e, tuttavia, conciliare la funzione ausiliaria dell’algoritmo e il momento della decisione, la quale, a sua volta, non potrà non essere umana, perché riflesso della “Legge” che “è come la società: viva e, quindi, mutevole” (p. 137).

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