I documenti informatici hanno efficacia probatoria?

Anche i documenti, alla luce dell’evoluzione tecnologica, hanno nel tempo acquisito forme differenti, producendo interrogativi relativamente alla loro efficacia a fini probatori, su cui si sono espressi il legislatore e la giurisprudenza più autorevole.

 

La pervasività della tecnologia ha inciso sulla tipologia, o meglio sulle forme, degli atti dotati di valore probatorio e produttivi, dunque, di effetti giuridici. Discostandosi, infatti, dalla concezione tradizionale di atto giuridico, assumono oggi un ruolo centrale – considerata l’ampia produzione in tutti gli ambiti del quotidiano – i documenti informatici. Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, definisce all’art. 1, comma 1, lett. p), il documento informatico come «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti». La definizione di documento elettronico è, invece, contenuta nell’art. 3, n. 35, del regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature) – il regolamento UE n. 910/2014 –, nel quale si legge che è considerato tale «qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva».

L’art. 20 del CAD disciplina, più specificamente, la validità e l’efficacia probatoria dei documenti informatici. Dal comma 1-bis si evince che il documento informatico ha la stessa efficacia di una scrittura privata (cfr. art. 2702 c.c.) quando ha forma scritta, quando è firmato digitalmente o quando vi è apposta un’altra tipologia di firma elettronica qualificata o avanzata, oppure nel caso in cui l’autore del documento sia digitalmente identificato (in tema di firma elettronica si veda C. Ramotti, Firma elettronica semplice, avanzata, qualificata: le scelte dei diversi Paesi). Il documento informatico deve risultare integro, immodificabile e deve essere manifestamente e inequivocabilmente riconducibile al suo autore. Qualora non siano presenti tali requisiti, la forma scritta e la valenza probatoria sono «liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità». Il legislatore ha inteso, dunque, fare riferimento alle e-mail in senso tradizionale, cioè non firmate digitalmente, agli SMS oppure ai messaggi più frequentemente scambiati sui social network. Tali documenti informatici, come statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 17 luglio 2019, n. 19155 (in linea con le sue precedenti pronunce nn. 11606/2018 e 5141/2019), hanno valenza probatoria. In tale ordinanza si legge, infatti, che: «lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, poichè, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni” (nella specie, veniva in questione il disconoscimento della conformità ad alcuni “SMS” della trascrizione del loro contenuto)». La Suprema Corte aggiunge, inoltre, che: «il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime».

La Corte di Cassazione, nella medesima ordinanza, si esprime anche relativamente all’efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c. A riguardo stabilisce che tali riproduzioni possono perdere la qualità di prova solo qualora ne venga effettuato un  disconoscimento «chiaro, circostanziato ed esplicito», consistente nell’allegazione di elementi che attestino la mancata corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.

In materia di documenti informatici non si può, infine, fare a meno di ricordare le recenti Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, entrate in vigore il 10 settembre 2020. Queste hanno la funzione di regolare la formazione, protocollazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e sono indirizzate alle pubbliche amministrazioni, enti gestori di pubblici servizi, società a controllo pubblico, privati (per le parti di competenza) e soggetti privati che erogano servizi alla pubblica amministrazione (nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2 commi 2 e 3 del Codice dell’Amministrazione Digitale).

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