Guido Calogero (Roma, 1904-1986) è stato uno dei più importanti filosofi italiani del Novecento, autore di studi fondamentali sulla filosofia greca, sulla logica aristotelica, in genere sulla “filosofia del dialogo”. Ha insegnato nelle università di Firenze (1931-34), Pisa (1934-1950) e Roma (dal 1950). Deputato nella Consulta nazionale che precedette la Costituente, liberalsocialista, partecipò alla fondazione del Partito d’Azione, fu assiduo collaboratore della rivista “Il Mondo” animata da Mario Pannunzio, fu nel 1955 tra i fondatori del nuovo partito radicale, quindi aderì al partito socialista. In questo brano, tratto da uno scritto del novembre 1964, condivide la posizione di Ugo La Malfa, cui era particolarmente legato da antichi vincoli di amicizia, sul tema delle responsabilità della burocrazia e di quelle della politica.
Giustamente La Malfa ha dichiarato di non poter accettare il principio che un funzionario sia punito per un provvedimento autorizzato dal potere politico da cui esso dipende, perché ciò equivarrebbe a considerare amministrativamente irresponsabile l’intera classe politica. Ovvio, d’altra parte, è che nemmeno si può giungere alla conclusione opposta, cioè che irresponsabili siano i burocrati, dovendo essi limitarsi a seguire meccanicamente gli ordini dei politici, cioè dei ministri. Ciò che occorre è una precisa distinzione degli ambiti di responsabilità, ossia, per così dire, dei diritti e dei doveri di firma: distinzione tanto più necessaria in un paese come il nostro, dove i supremi dirigenti sembrano ansiosi di non lasciar firmare nulla a nessun altro, come se temessero di venir traditi ad ogni momento dai propri uffici (…). Ho ricordato altra volta come simbolico il fatto che ogni tanto un usciere dell’Università di Roma si aggira desolato per i corridoi in cerca di qualche professore anziano disposto a firmargli una pila di certificati attestanti esami sostenuti (…). Da noi il certificato deve presentarsi munito di tre firme: quella del funzionario che ha eseguito il controllo, quella del direttore amministrativo dell’università e quella del rettore. È chiaro che, anche ammessa necessaria la prima firma, le ultime due sono del tutto superflue, anzi intrinsecamente “false” anche se materialmente autentiche, in quanto sembrano attestare la veridicità di quanto detto nel certificato, mentre tutt’al più attestano una vaga fiducia nel funzionario che lo ha redatto. Ma perché persone serie devono essere costrette dallo Stato a compiere buffonate? E tutte le firme, innumerevoli, che mettiamo sui verbali (una di ciascun commissario per ciascuno studente) sono forse necessarie? Non basterebbe una sola firma, di un solo membro della commissione, in fondo al verbale? E come evitare, allora, che la maggior parte di queste firme siano apposte post factum, da commissari i quali non hanno in realtà assistito all’esame? (…). Qui però, allora, c’è una responsabilità specifica della classe politica, la quale lascia sussistere leggi antiquate, che impongono agli amministratori il dilemma fra l’inefficienza e l’illegalità.
Guido Calogero, Le firme, 24 novembre 1964, ora in Id., Quaderno laico, Bari, Laterza, 1967, pp. 421-422.