Camilla Cederna, raffinata giornalista dell’“Espresso”, celebre per le sue graffianti cronache mondane (le signorine snob, le dame milanesi di vecchia nobiltà e le parvenu, appena arricchitesi con la speculazione edilizia milanese dei loro mariti borghesi), passa un’intera giornata in compagnia del presidente del Consiglio Amintore Fanfani. Lo raggiunge all’Università di Roma, dove il presidente (sveglia alle 6,30) tiene alle 9 del mattino la sua lezione di economia intrattenendosi a spiegare agli studenti la modernità di Esiodo, che già all’inizio del primo millennio parlava di controllo delle nascite. Con lui, suonata la fatidica campanella del bidello, si accomoda sulla Flaminia nera ministeriale e percorre la Roma del centro storico ascoltando l’ininterrotta loquela dell’ospite. I palazzi barocchi, le fontane, le casate della nobiltà papaline padrone di mezza Roma. Siamo nell’aprile 1961, all’epoca cioè del terzo governo Fanfani, un monocolore Dc con l’appoggio esterno di Psdi, Pli, Pri, gruppo misto e con l’astensione benevola del Psi e dei monarchici. La sede della Presidenza del Consiglio è appena stata spostata (ma per ora solo nominalmente) dal Viminale a Palazzo Chigi. Sarà in realtà Moro nel 1963 a utilizzare stabilmente il nuovo indirizzo, che nel 1961 era ancora riservato a funzioni di “rappresentanza”.
Il presidente scorta la giornalista, s’immagini quanti riguardi le usi e quali galanterie, come si deve a una signora bene, per di più milanese. Sprizza vitalità e facondia. È inarrestabile: brillante, spiritoso, tronfio del suo ruolo, palesemente desideroso di mostrarsi all’ospite in tutto il suo potere. Dopo la visita alla Presidenza la condurrà alla sua abitazione privata dove sfoggerà a suo esclusivo beneficio le sue pitture più recenti, le presenterà i giovani figli, le parlerà a lungo con affetto della moglie Bianca Rosa al momento assente.
Camilla tutto vede e tutto ascolta, di tutto prende nota accuratamente nel suo taccuino. Il suo ritratto del leader, l’indomani, sarà sul giornale un virtuoso pezzo d’ingegno.
Varcando il portone di Palazzo Chigi (…) l’appassionato professore diventa (…) un perfetto padrone di casa. Benché come ogni giorno anche oggi sia in piedi dalle sei e mezzo, durante il suo “tour propriétaire” della sua nuova sede di rappresentanza, non mi risparmia né strade né spiegazioni: su con un ascensore, giù con un altro, avanti per un corridoio infinito, “guardi gli stucchi, la vede la stella dei Chigi? E qui una novità: da questo locale ho ricavato una sala cinematografica, non perché vi si censurino i film” (sorriso compiaciuto), “ma perché gli uomini politici seguano un po’ più la realtà; non trova che i film sono altrettante occasioni di moderna informazione?” (occhiata carica di una brusca e profonda attenzione).
I commessi in redingote s’inchinano al suo passaggio e il Presidente parla sempre: “Buongiorno, buongiorno, volevano un tanto in più al mese per farsi stirare le cravatte due volte la settimana, diamogli un po’ di più ho detto io, così se le stirano tutti i giorni, che è meglio; no, quello è un addetto alla segreteria della Presidenza, ed è il cugino della Lollobrigida. Si chiama come lei, la leggenda vuole che almeno ai primi tempi quando qualcuno telefonava per me chiedendo “Con chi parlo?”, per un paio di volte lui si sbagliasse rispondendo “Lollobrigida”, con grande meraviglia degli ascoltatori. Ma chissà se è vero”.
Un accenno all’economia il Presidente lo fa anche in questa sede: “Siamo poveri, come vede abbiamo le sale vuote e non possiamo ancora arredarle”; e quando vede due poltrone messe a caso al centro di una lunghissima parete ordina ai commessi di trasportarle in un angolo. “Nella miseria almeno disporre bene”, enuncia quest’ometto terribilmente efficiente, che continua a girare chiavi nelle toppe e a impugnare maniglie, senza mai smettere di voler far ordine e dare disposizioni: “Quest’orologio è un po’ di giorni che è lì disteso su quell’étagère. O lo movete o lo portate ad accomodare, o l’attaccate, ma fate qualcosa, e fatelo in fretta!”.
Camilla Cederna, Con Fanfani a scuola in ufficio e a casa. I politici dietro le quinte: il presidente del Consiglio, in “L’Espresso”, 23 aprile 1961.