Vecchietti e Scalfari nel 1962: censura in Rai

Due mostri sacri del giornalismo italiano del dopoguerra a confronto. Da una parte Giorgio Vecchietti (Bologna, 1907 – Roma, 1975), già noto durante il fascismo come uno dei più promettenti ragazzi dalle cosiddetta “covata Bottai” (dal nome del gerarca al quale facevano riferimento), poi nel dopoguerra uomo-Rai, all’epoca di questo carteggio vicedirettore dell’unico telegiornale nazionale, inventore col collega Gianni Granzotto di “Tribuna politica”, prima trasmissione che portò il dibattito tra i partiti nelle case degli italiani; e dall’altra Eugenio Scalfari (Civitavecchia, 1924 – Roma, 2022), intellettuale radicale, fondatore e collaboratore di riviste e giornali (il più famoso: “La Repubblica”, del 1976), maître-à-penser di una o due generazioni di italiani di sinistra. Tema: la sostanziale espulsione di Scalfari dalla televisione alla fine del 1962, richiesta e ottenuta da una parte, la più conservatrice ma anche la più potente, della Democrazia cristiana. Bellissima la lettera di Scalfari conservata nelle carte di Ugo La Malfa. Non conosciamo purtroppo, se ci fu, la risposta di Vecchietti.

Dottor Giorgio Vecchietti. Direttore del Telegiornale

Via Teulada,  Roma

Caro Vecchietti, è già passato un mese da quando tu mi hai comunicato che i miei commenti economici alla televisione dovevano essere momentaneamente interrotti. Mi dicesti allora che ciò era dovuto all’intervento di alcune personalità politiche democristiane, le quali giudicavano incompatibile che un giornalista dell’ “Espresso” che da sette anni sostiene una linea politica ed economica comparisse sugli schermi della televisione italiana; ma aggiungesti contemporaneamente che era tua intenzione superare questi ostacoli o, al limite, non tenerne conto e riprendere quindi quanto prima una collaborazione che era stata a suo tempo sollecitata dalla stessa direzione della Rai.

Il tempo tuttavia è passato senza che queste tue dichiarazioni si siano tradotte in alcunché di concreto; non solo: ma senza che, né da parte tua né da parte di Bernabei ci sia stato nessun ulteriore accenno a rompere un silenzio che è di per sé molto significativo. Ritengo quindi che i nostri rapporti di collaborazione, che tu sostenevi interrotti solo momentaneamente, siano oggi da considerarsi definitivamente risolti.

Di tutta questa vicenda, per me molto istruttiva, ho da lamentare soprattutto una cosa: e cioè che ad un giornalista venga impedito di collaborare alla televisione non già per l’insufficienza delle sue prestazioni professionali, e nemmeno per il contenuto delle medesime, ma semplicemente perché egli appartiene a un giornale sgradito alla corrente dorotea della Dc. Non ti avrei nemmeno scritto questa lettera se il caso, andando oltre il mediocre interesse personale, non assumesse un significato esemplare di quanto ancora l’indipendenza professionale e la non affiliazione a certe clientele costituisca nel nostro paese un handicap per svolgere coscienziosamente il proprio lavoro. Saluti, Eugenio Scalfari

 

Archivio centrale dello Stato, Archivio Ugo La Malfa, serie II, b. 6, Epistolario, novembre 1962.