
Trentunesima puntata del nostro viaggio
Abbiamo chiuso il precedente post ricordando che alla politica spetta un ruolo decisivo per governare l’uso dell’informatica nello sviluppo della società. In effetti, tutta la seconda parte di questa “passeggiata” è stata dedicata alla riflessione sui vari modi con cui le tecnologie informatiche hanno cambiato e stanno cambiando il nostro mondo. Ho già discusso l’intreccio tra la dimensione digitale e le altre dimensioni sociali, ricordando che la vera sfida della trasformazione digitale è prima di tutto di natura sociale e politica e ho osservato – proprio nel primo dei post della seconda parte – che i cambiamenti causati dalla rivoluzione informatica hanno una natura radicalmente diversa da quelli di di ogni altra precedente rivoluzione.
In questo articolo sviluppo alcune considerazioni su questi cambiamenti sociali, partendo da una legge che ho formulato a questo proposito, la Legge sull’impatto sociale della tecnologia digitale:
L’impatto sociale della tecnologia digitale è imprevedibile,
anche tenendo conto della
Legge sull’impatto sociale della tecnologia digitale.
Chi ha familiarità con Hofstadter, l’indimenticabile autore di “Gödel, Escher, Bach” (un saggio divulgativo sui fondamenti culturali dell’informatica che consiglio vivamente), riconosce che si tratta di una variazione della Legge di Hofstadter sulla pianificazione delle attività («Per fare una cosa ci vuole sempre più tempo di quanto si pensi, anche tenendo conto della Legge di Hofstadter »). Ritengo che la mia variazione sia una legge perfettamente giustificabile, considerato che la gran parte dell’umanità convive con strumenti digitali da neanche un quarto di secolo, nel quale molto poco è stato fatto dai governi per insegnare qualche concetto fondamentale.
Se osserviamo con un minimo di distacco lo sviluppo dell’umanità negli ultimi cinquemila anni — cioè da quando sono emerse società più complesse di una semplice comunità tribale — notiamo che le innovazioni tecnologiche, per quanto incisive, venivano assimilate lentamente. Le trasformazioni si distribuivano su molte generazioni, dando modo alle strutture sociali di adeguarsi gradualmente ai cambiamenti in corso.
Con la diffusione della tecnologia digitale, tuttavia, si è assistito a una repentina trasformazione che ha scardinato in un lasso di tempo brevissimo un paio di principi fondamentali che, nel bene e nel male, hanno sempre governato la nostra esistenza.
Il più significativo di questi principi è quello che ci ricorda l’ineluttabilità della fine. Ogni essere vivente è destinato a morire, e con la sua scomparsa spesso le sue azioni e le sue relazioni cadono nell’oblio. Nella nostra dimensione digitale questo non accade: con la crescente sofisticazione delle rappresentazioni digitali, tale sovvertimento entra sempre più in contrasto con il senso comune. È vero, anche secoli fa esistevano statue che tramandavano ai posteri le sembianze e le imprese di figure illustri, ma ora l’eternità (digitale) è accessibile a chiunque.
Il secondo capovolgimento riguarda la dissoluzione dei limiti di spazio e tempo: qualsiasi contenuto digitale può essere copiato e distribuito istantaneamente, ovunque. Il nostro alter ego virtuale (sulla cui necessità di tutela costituzionale abbiamo già discusso) può essere moltiplicato all’infinito e diffuso senza alcun sforzo, una possibilità che un tempo era prerogativa delle divinità.
C’è poi un ulteriore effetto legato a questa nuova condizione: il concetto di fama ha subito un’espansione senza precedenti. Un tempo la popolarità si costruiva lentamente, trasmessa oralmente e limitata da confini geografici. L’invenzione della stampa prima, e poi i media audiovisivi come cinema e TV, hanno accelerato e ampliato la portata della notorietà, generando figure iconiche nel mondo dello spettacolo e dello sport. Oggi, grazie alla rete globale, ciò che conquista l’attenzione può farlo simultaneamente ovunque, mentre la stragrande maggioranza dei contenuti rimane invisibile. Basti pensare che, secondo dati di un paio d’anni fa, solo qualche decina di video su YouTube ha superato il miliardo di visualizzazioni, su un totale stimato di diecimila miliardi di video caricati.
Il superamento di queste due “colonne d’Ercole” ha avuto una conseguenza radicale: un’informazione, una volta resa pubblica in forma digitale, può sopravvivere per sempre e ovunque. Non stupisce, quindi, che il diritto naturale all’oblio abbia dovuto essere formalizzato in una norma specifica per ottenere riconoscimento nell’era digitale. E non è stato un passaggio immediato né indolore: prima che si arrivasse a una regolamentazione, molte vite sono state rovinate.
Il fatto che questi confini una volta considerati invalicabili siano stati abbattuti nell’arco di una singola generazione ci ha catapultati in una dimensione completamente nuova, dove rischiamo di ripetere il destino di Ulisse, così come raccontato nel suo folle viaggio oltre i limiti del mondo, nell’Inferno dantesco.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.
Il nodo centrale è proprio nella legge che ho precedentemente menzionato: la nostra difficoltà nel comprendere l’impatto di questa tecnologia deriva sia dalla sua natura troppo aliena rispetto a noi, sia dal fatto che la combinazione a crescita esponenziale delle interazioni tra tecnologie e contesti rischia di superare la nostra capacità di intendimento.
Eppure, la nostra storia evolutiva – da semplici primati a (quasi) dominatori del pianeta – dovrebbe insegnarci che ogni risorsa disponibile sarà sfruttata in ogni modo immaginabile. In molti casi, prevederne le conseguenze si rivela estremamente arduo.
Per questo, di fronte a un universo digitale fatto di infinite interazioni e scenari imprevedibili, ci sarebbe bisogno di procedere con estrema cautela. E invece, a volte, sembra che ci stiamo lanciando a tutta velocità e a occhi chiusi verso l’orlo del baratro.
Serve allora un’attenzione costante, una vigilanza rigorosa ogni volta che mettiamo mano alla “bacchetta magica” della tecnologia digitale. Perché potremmo trovarci nei panni dell’apprendista stregone, ma senza nessuno capace di intervenire quando le cose sfuggono al nostro controllo.
Ecco perché questa bacchetta non può essere lasciatanelle mani delle grandi aziende tecnologiche, che grazie al loro enorme potere economico influenzano in modo decisivo tutti i mezzi di comunicazione raccontandoci sempre e solo le “magnifiche sorti e progressive” che aspettano l’umanità occultando le conseguenze negative. Ne vedremo un esempio nella prossima puntata.
( I post di questa serie sono basati sul libro dell’Autore La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale, al quale si rimanda per approfondimenti. I lettori interessati al tema possono anche dialogare con l’Autore, su questo blog interdisciplinare, su cui i post vengono ripubblicati a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione in questa sede. )