Gli impiegati di Jahier non sono «ripartiti a caso»

Piero Jahier (Genova, 1884-Firenze, 1966) pubblicò le Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi nel 1915, per i tipi della «Libreria della Voce. Studente di giurisprudenza a tempo perso, spirito irrequieto, un po’ futurista forse, era all’epoca assiduo frequentatore dei circoli letterari fiorentini, dove probabilmente aveva affinato la vena satirica messa a frutto in questo piccolo libro di messa in ridicolo della burocrazia (vi si trova persino un grafico, Prospetto grafico che permette di seguire la vita di Gino Bianchi in qualsiasi momento, coi giorni della settimana nella prima colonna, gli orari, il conto dei passi del percorso casa-ufficio-casa, la toilette personale del burocrate ecc.).

Nel 1916 Jahier sarebbe partito come volontario, negli  alpini (da cui un libro del 1920, Con me e con gli alpini), divenendo uno degli ufficiali del Servizio P., l’ufficio  militare addetto alla propaganda tra i contadini-soldati ammassati nelle trincee (inventò tra l’altro L’Astico, giornale di trincea pensato appunto per motivare i combattenti). Fece a lungo l’impiegato nelle Ferrovie, e non è escluso che questa sua seconda vita trascorsa in un’amministrazione dello Stato gli suggerisse le pagine divertenti ma anche acri delle Resultanze.

Solo un profano potrebbe credere che gli impiegati d’una stanza son tutti uguali e ripartiti a caso. Come mai, allora, si deve chiedere a questo profano, come mai entrando in una stanza dove sono in parecchi se ne vede uno solo, ci si rivolge naturalmente a uno solo? È perché tutto è ripartito scrupolosamente in una stanza, a seconda del grado dell’anzianità: la luce e l’aria come il minimo mobile.

È superiore chi ha la luce da sinistra, in modo da non farsi ombra col braccio, scrivendo; è superiore chi ha l’autorità di aprire e chiudere la finestra, chi ha almeno due étageères e qualche volta un armadio; chi ha una sputacchiera, ma soprattutto chi ha una scrivania orientata bene, il cui seggiolone a braccioli abbia figliato lateralmente una sedia di Vienna per far accomodare  i visitatori.

È orientata bene la scrivania in faccia alla porta d’ingesso, la scrivania che esclude la famigliarità della posizione laterale leggitutto, la scrivania che impone al visitatore il riguardoso «di fronte».

Tale era la scrivania di Ussa, il quale ci aveva anzi aggiunto come sfondo un paravento verde, che è il colore delle aule della giustizia, che dà il senso dell’ufficialità.

Tale era la scrivania (…) che gli inservienti avevano imparato a rispettare con tutto il suo corredo, di cui accarezzavano le fiancate venerabili cogli strofinacci, il cui cestino vuotavano estraendone le carte, mentre eran soliti vuotar quelli degli altri impiegati, mettendoci dentro un piede. Se anche non ci fosse stato nessuno dietro il banco, sarebbe venuto naturale a chiunque di parlare a quel banco. E quasi di aspettarne risposta.

Per tre mesi Ussa si era inebriato della gioia di esser superiore, mentre il suo collega di destra, più anziano di lui di tre mesi e aspirante Capostanza, si rodeva dalla rabbia che quel che un uomo di merito come lui non era riuscito ad ottenere con tutte le arti, una scrivania, l’avesse ottenuto senza muoversi.

Ora, questo collega più anziano era un cretino; ma forse sarebbe diventato un infame, se Ussa non fosse morto a tempo.

Piero Jahier, Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi. Con un allegato, Firenze, Vallecchi, 1987, p. 120.