
Si presenta un nuovo Punto di vista dell’Osservatorio sullo Stato digitale: si tratta di un lavoro congiunto dei Dottori Raffaella Arcangeli e Nicola Diana, che approfondiscono il tema della regolazione della cd. intelligenza artificiale negli Stati Uniti, in Cina e nell’Unione europea. Tema di grande attualità, oggetto di parole e riflessioni spesso eccessive, e il cui filo rosso è in realtà costituito dagli interessi sottesi alla tecnologia: il ritorno dei finanziamenti privati e la stretta connessione con i poteri pubblici nazionali.
Recenti documenti programmatici sono chiarissimi nel rivelare le intenzioni statali, che si snodano sia in chiave di politica estera, sia di promozione degli operatori nazionali. Il velo è sollevato, e mostra un pesante movimento della mano pubblica. Si staglia un interesse granitico dei poteri pubblici, che intendono utilizzare (almeno, i più agguerriti) le potenzialità degli strumenti in costruzione, concentrando risorse e capacità di calcolo nell’attuazione delle politiche nazionali. Si aggiunge un altro fattore: viene chiesto alle aziende private di realizzare interventi finanziari e aumentare l’occupazione nel settore tecnologico nel loro paese di origine, limitando la delocalizzazione e rafforzando la visione politica del decisore.
Se queste sono le linee comuni, permangono decise differenze di approccio: in questo senso, torna l’eco degli imperi digitali, nata dalla voce di Anu Bradford: i tre assi fondamentali continuano a essere quelli tracciati dalla studiosa. E in essa di pongono, concettualmente, i lavori del presente Punto di vista.
Nel post sugli Stati Uniti, viene messa in evidenza la policy pubblicata in estate e il cambio di rotta rispetto all’amministrazione precedente; la moratoria, che alla fine è stata bloccata in Senato; il parallelismo tra riduzione della regolazione e programma di investimenti; la volontà di esportare i prodotti statunitensi all’estero, favorendoli sistematicamente. Si osserva un forte interesse al rafforzamento e all’esportazione dei sistemi nazionali (anche sul piano dell’infrastruttura su cui poggiano), da usare in chiave strategica anche – se non soprattutto – nello scacchiere internazionale.
Nella Cina, l’onnipresente intervento governativo viene confermato in pieno, sia sotto il piano degli investimenti, sia sotto quello del controllo governativo. Si tratta, come riconoscono gli stessi Autori, Arcangeli e Diana, di un intervento pervasivo, costante, nonché ambivalente, in cui la concentrazione rafforza i sistemi e mette a rischio i diritti. La panoramica è ampia e consente di gettare uno sguardo su diversi sistemi in uso e sulle relative regole e forme di controllo, anche nella loro evoluzione temporale.
In Europa, infine, che rispecchia interessi sovranazionali, sembrerebbe esservi un approccio più maturo, in cui la regola viene concepita come una risposta alle carenze, agli sviluppi sbilanciati ed eccessivi, alle crescite incontrollate degli operatori. Del resto, nel corso degli anni, è nata una maggiore consapevolezza sui rischi di sistemi informatici diffusi, online ed offline. La risposta è stato in un plesso normativo ormai corposo, che, con tutti i suoi limiti, ha innovato il settore; indice della sua rilevanza il fatto che è stato molto osteggiato, sin dalla gestazione, e continua ad esserlo. L’Europa, in altre parole, regola e continuerà a farlo, più o meno bene (la sorveglianza su chat e dispositivi tramite backdoor era un pessimo esempio, fortunatamente bloccato) senza il timore di tirare il freno all’innovazione. Allo stesso tempo, non mancano segnali, anche preoccupanti, di cambiamento (forse per una eccessiva tendenza ad adeguarsi allo scenario internazionale). L’Unione è anche carente sul piano della promozione: se intende assicurare effettivamente i diritti, deve promuovere un comparto che funga da contraltare ad altri giganti e, soprattutto, sia in grado di rispettare diritti e valori del vecchio continente che sulla carta sono ancora proclamati (si veda il recente intervento di Francesca Bria, Reclaiming Europe’s Digital Sovereignty).
Nell’insieme, il tema della regolazione resta centrale: serve ridurre le regole per favorire l’innovazione, o la rima può essere conservata? Sempre più spesso aumenta la consapevolezza che si tratti di un falso dilemma, e che l’introduzione di regole è essenziale, se si vogliono o conciliare gli interessi sociali diffusi, i diritti riconosciuti e l’utilizzo mirato e controllato dei sistemi.
Di fondo, un panorama ormai definito: potere, centralizzazione e concentrazione delle risorse sono utilizzate enormemente dagli Stati, secondo una evidente pretesa di dominio. Anche le relazioni internazionali mutano, e le Big Tech ne diventano soggetti attivi, accompagnando gli Stati stessi. Una variazione notevole, che sarà foriera di conseguenze.
Quanto alle potenzialità della tecnica sottostante l’IA, mentre si riconosce l’uso strategico appena delineato, va contemporaneamente ridimensionata l’aura immaginifica in cui è stata immersa in questi anni. Lo stesso Jeff Bezos, recentemente, ha affermato che l’IA è una questione di interesse industriale, che può essere utile. Una conferma dell’inversione di rotta rispetto alle promesse salvifiche cui si è assistito, sebbene le affermazioni roboanti non cessino di ottundere.
Ciò che ci attende è un uso molto meno magico e molto più concreto, con un patto stretto tra i poteri privati e il potere pubblico. Una sinergia non troppo inedita tra Stato e poteri tecnologici, che sta prendendo corpo in modo sempre più consistente.
Queste brevi considerazioni lasciano ora il dovuto spazio alle ottime analisi di Raffaella Arcangeli e Nicola Diana, che ci mostreranno i tre scenari dei tre “imperi digitali”, secondo il programma seguente:
- Stati Uniti, 14 ottobre
- Cina, 21 ottobre
- Europa, 28 ottobre
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