
La transizione ecologica – che in verità è un termine parziale, perché a sua volta può ricomprendere, collegarsi e combinarsi con altre, come quelle energetica, climatica, nonché sociale – è spesso accostata, confrontata e accomunata alla transizione digitale. Si tratta di due processi di cambiamento che stanno segnando le politiche pubbliche attuali, con grandi promesse di innovazione e miglioramento delle nostre condizioni di vita.
Entrambe – come avviene con i maggiori cambiamenti da affrontare – necessitano di un adeguato apparato giuridico-istituzionale per essere sviluppate, protette e condotte a compimento.
Considerando l’espressione ormai diffusa di “transizioni gemelle”, occorre chiedersi: cos’hanno in comune questi due movimenti? Gli elementi di somiglianza prevalgono sulle differenze? Tra questi, quale presenta gli aspetti più significativi?
Prenderò in esame prima le differenze e poi le analogie di queste transizioni; quindi, mi soffermerò su un problema che le accomuna e che riguarda il momento esecutivo e di attuazione concreta di tale percorso. Questo consiste nel divario – digitale ed ecologico – che rende particolarmente difficoltoso il passaggio dalla teoria alla pratica, dai programmi alla regolazione, dalla strategia al cambiamento effettivo.
Iniziando dalle differenze, dunque, in primo luogo vanno segnalati i diversi interscambi tra imprese e istituzioni che si verificano nelle due transizioni in parola. In quella digitale, troviamo ricerche e innovazioni tecnologiche da attribuire alla sfera pubblica (è noto che l’invenzione di Internet sia opera del Dipartimento della difesa statunitense), ma anche sviluppi e scoperte innovative da parte delle imprese: la grande diffusione dell’informatica non si avrebbe senza l’apporto del Capitale, benché risulti utile anche alle istituzioni. È però il primo a trainare e le seconde a inseguire. Nel settore ambientale, le maggiori innovazioni tecnologiche sono private: pannelli solari, pale eoliche, auto elettriche e idrogeno, per citare solo alcuni esempi, sono conquiste della migliore ingegneria imprenditoriale. Tuttavia, sono i poteri pubblici che ne stanno promuovendo l’utilizzo e la diffusione, tramite incentivi, investimenti, creazione di infrastrutture e altre misure di natura regolatoria. È grazie a questo intervento che le tecnologie verdi risultano, oltre che innovative, anche convenienti per i privati e quindi realizzabili: a differenza del digitale, è lo Stato che fa da , mentre imprese e cittadini inseguono, tramite regimi speciali e agevolati.
In secondo luogo, la transizione digitale comporta un cambiamento nei mezzi, quella ecologica nei fini. La prima, infatti, non necessariamente influenza il che cosa dell’azione dei pubblici poteri, ma certo condiziona il come, fornendo strumenti nuovi per le istruttorie e l’elaborazione di dati, per la comunicazione, per l’interazione con gli utenti, per l’erogazione di servizi. La seconda ha come obiettivo fondamentale quello di ridurre l’inquinamento e il consumo di risorse naturali: il come è conseguenziale e consta di vari e diversificati strumenti regolatori. Le finalità non sono neutre rispetto agli strumenti, a loro volta condizionati dalle esigenze di decarbonizzazione e tutela degli ecosistemi, ma la transizione ecologica è incentrata sul raggiungimento di determinati obiettivi. Sul punto, nondimeno, occorre distinguere l’impatto dell’Intelligenza Artificiale (IA), che fa un passo in avanti anche sul piano del contenuto decisionale e, grazie all’algoritmo, acquisisce una dimensione sua propria e distintiva che va oltre alla trasposizione digitale di un mezzo analogico.
Un terzo tratto distintivo riguarda infine l’elemento emergenziale e di crisi che condiziona una delle due transizioni e non l’altra. Le alterazioni climatiche sono ormai comprovate e scientificamente pacifiche, il che richiede un processo di cambiamento – in tempi ragionevolmente brevi – nei consumi, negli stili di vita, nel sistema produttivo, e quindi lo sfruttamento delle necessarie innovazioni tecnologiche; viceversa, la rivoluzione digitale non è una necessità, non sorge come problema da risolvere, ma si presenta come un’opportunità e come uno strumento, che può offrire una serie di miglioramenti, ma anche rischi elevati, in vari campi.
C’è, infine un aspetto che, più che un elemento differenziale, è un motivo di contrasto, ossia l’impatto ecologico degli strumenti digitali, per altro di carattere ambivalente: se la dematerializzazione propria delle comunicazioni informatiche permette di ridurre consumo di risorse e inquinamento, la capacità energivora dei server e di altri hardware necessari all’utilizzo di sistemi digitali, su tutti l’IA, è invece causa di ulteriori emissioni climalteranti.
Per ciò che concerne i tratti comuni, un punto di contatto tra le due transizioni si rinviene nel ruolo fondamentale delle innovazioni tecnologiche: grazie agli sviluppi informatici e digitali è ora possibile firmare un atto amministrativo a distanza, presentare una richiesta tramite PEC, effettuare un pagamento dal computer di casa, archiviare un documento sul web, organizzare una riunione online e molto altro; similmente, è grazie alle batterie elettriche che si può muovere una macchina senza motore a combustione, tramite pannelli fotovoltaici si può catturare l’energia del sole, con l’idrogeno si può immagazzinare quell’energia, che può essere trasportata a distanza grazie a reti elettriche molto sofisticate.
Un secondo elemento comune risiede nel cosiddetto Brussels effect e ne porta con sé un altro. In entrambe le transizioni, infatti, l’Europa ha scelto di interpretare un ruolo da pioniere, nel contesto internazionale: le recenti normative in tema digitale e IA mostrano la volontà dell’Unione di arrivare prima nella regolamentazione di certi fenomeni; parimenti, il lancio e la (lenta, ma progressiva) attuazione del Green Deal europeo (dal dicembre 2019) vanno nella medesima direzione di realizzare una transizione necessaria prima dei competitors internazionali. Questo aspetto, come anticipato, rivela un altro lato interessante dei fenomeni in discussione: entrambi si presentano come opportunità, oltre che come sacrifici. Riuscire a usare gli strumenti digitali con un buon sistema regolatorio, che riduce al minimo i rischi (di sicurezza informatica, di riservatezza, di dipendenza dalle Big Tech), così come ottenere l’indipendenza energetica contando solo sulle rinnovabili o produrre ricchezza senza consumare risorse sono obiettivi che spingono a una race to the top, in cui gli Stati che per primi riescono a perseguirli hanno un considerevole vantaggio competitivo sugli altri.
Infine, un ultimo elemento comune riguarda il ruolo delle pubbliche amministrazioni e il momento attuativo: entrambe le transizioni devono essere “messe a terra”, come si suol dire. Non basta promuovere, pianificare e incentivare la conversione energetica, occorre realizzarla; parimenti, non basta digitalizzare il ciclo di vita dei contratti pubblici, occorre renderlo operativo e funzionante. Lo stesso vale per i veicoli elettrici, l’idrogeno, l’utilizzo dell’IA, i servizi digitali, ecc. C’è, a tal riguardo, un divario che è sia digitale sia ecologico, perché in entrambe le transizioni le amministrazioni pubbliche, che devono svolgere un ruolo decisivo per la riuscita delle stesse, non sono adeguatamente attrezzate ai compiti richiesti. Ciò significa che la “capacità amministrativa” è decisiva e ha bisogno, quindi, di essere migliorata: le amministrazioni devono indirizzare adeguatamente gli investimenti pubblici; la scelta dei contraenti per realizzare le infrastrutture verdi e digitali deve essere efficiente, rapida e imparziale; piani e programmi devono essere concepiti con la giusta capacità di creare progresso e innovazione, senza comprimere la concorrenza o accettare compromessi al ribasso sul piano della tutela ecologica; i controlli devono essere rigorosi ma non soffocanti; il personale adeguatamente formato per affrontare le novità delle nuove fasi. In questo senso, a oggi, sia per il digitale sia per l’ambiente, si registra ancora un divario tra ciò che dovrebbe essere effettuato e ciò che si è in grado di fare. Questo elemento, comune alle due transizioni, è anche quello più problematico e che richiede i maggiori interventi di ingegneria istituzionale per affrontarlo.
Come in altri ambiti della regolazione pubblica, la reazione a questa disfunzione non dovrebbe essere la rinuncia alla stessa o l’arretramento dei poteri amministrativi a favore dei privati; dovendo invece perseguire in modo più forte e deciso l’interesse pubblico e risvegliare la consapevolezza sulle implicazioni di determinate scelte. A tal fine, va migliorata la qualità dell’amministrazione, con, inter alia, un reclutamento mirato e che tenga conto della pluralità delle qualifiche, strumenti di incentivo interni rigorosi ed efficaci, maggiori stanziamenti a favore delle politiche pubbliche: scelte coraggiose e impopolari in termini di public governance, che però non possono essere più rimandate.
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