Nella transizione digitale spesso le previsioni legislative vengono tradotte nei sistemi informatici utilizzati nei rapporti tra la PA e i privati. Il legislatore non sempre regola in modo esaustivo tutti i casi della vita e può ricorrere anche a formule ampie; l’interprete può colmare eventuali lacune ricorrendo a principi, similitudini e analogie. La rigidità dei sistemi informatici può presentare lacune, ma non deve mai comportare una diminuzione delle tutele per il cittadino, come nel caso delle agevolazioni fiscali del c.d. gasolio agricolo.
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https://www.irpa.eu/lerrore-dellalgoritmo-obbliga-la-pubblica-amministrazione-a-risarcire-il-danno/
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In accoglimento del ricorso presentato da un’azienda sarda in materia di istanze per le agevolazioni fiscali sulle accise dei carburanti agricoli il Consiglio di Stato (con Sentenza n. 8537/20241) recentemente si è pronunciato sulle tutele in favore del privato derivanti da un provvedimento sfavorevole emesso (anche) a causa di rigidità dei sistemi informatici della PA.
Nel caso di specie, l’agenzia regionale sarda Argea ha negato l’agevolazione fiscale sull’acquisto del carburante agricolo, impiegato nell’esercizio dell’attività di impresa a causa della presentazione di una dichiarazione non conforme alle lavorazioni, nello specifico effettuate nei confronti dei terzi.
Appare utile richiamare alcune delle norme rilevanti per la concessione dell’agevolazione fiscale:
l’art. 24 e il punto 5 della tabella A del d.lgs. 504/19952 dispongono che tutte le lavorazioni in ambito agricolo sono ammesse all’agevolazione;
il decreto del Ministero delle Politiche Alimentari, Agricole e Forestali del 30.12.20153 indica dei valori di consumo stimati per una serie di lavorazioni agricole.
Solo per alcune lavorazioni suscettibili di agevolazione sono indicati quindi dei valori economici e quindi il decreto ministeriale incide solo sul quantum del beneficio e non sull’an che è disposto del decreto legislativo. Tale ricostruzione è stata poi confermata anche dall’art. 1, comma 2, decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 24.02.20004 che dispone che «Per le produzioni agricole non contemplate nell’allegato di cui al comma 1, e per gli interventi saltuari, la determinazione dei consumi viene effettuata riferendosi alle produzioni ed agli interventi indicati nell’allegato medesimo».
Dal combinato disposto delle richiamate norme si desume che solo per alcune lavorazioni agricole per cui è possibile beneficiare delle agevolazioni fiscali sono stati indicati dei valori economici.
Ciò si è tradotto in una rigidità nel sistema informatico di presentazione delle istanze predisposto da Argea.
Argea, nell’ambito della transizione digitale e – probabilmente – nella condivisibile ottica di semplificazione dell’azione amministrativa, aveva infatti predisposto una procedura automatizzata ove la dichiarazione dell’azienda agricola si sostanziava nella compilazione di un modello all’interno di una procedura rigida e automatizzata che non consentiva di dichiarare con precisione i lavori effettuati ma solo quelle lavorazioni per le quali erano previsti dei valori economici.
La rigidità del sistema si sostanziava da un lato in una limitata platea di dati “selezionabili” in ingresso e dall’altro nel fatto che non veniva prevista la possibilità di incasellare univocamente lavorazioni agricole non espressamente previste.
La società agricola, pertanto, nel compilare il file excel si era trovata costretta a selezionare nel modulo le tipologie di lavorazioni più simili (ma non coincidenti) a quelle svolte e questo aveva comportato il rigetto della sua domanda per mancata coincidenza delle lavorazioni effettuate e quelle dichiarate.
Il Consiglio di Stato ha rilevato che la modulistica messa a disposizione dei privati per richiedere l’agevolazione era effettivamente impostata in modo errato e, di conseguenza, la non corrispondenza fra i dati caricati (da cui è dipeso il parziale rigetto) e le lavorazioni effettivamente svolte era solo apparente, in quanto dipendeva dalla rigidità dei format forniti da Argea medesima.
Lo ricorda il Consiglio di Stato che “[i]l ricorso all’uso delle tecnologie informatiche nei rapporti tra P.A. con il cittadino è uno degli obiettivi principali della cosiddetta “transizione digitale””; il faro dell’azione amministrativa è il principio contenuto nell’art. 1, comma 2-bis, l. n. 241/19905 che dispone: «I rapporti tra il cittadino e la pubblica Amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede».
Con questa sentenza, vengono dunque affermati importanti principi relativi al rapporto tra tecnologie informatiche e rapporti fra cittadini e pubbliche amministrazioni.
Già negli anni passati, si è andato via via affermandosi sempre di più il principio secondo cui per le imprecisioni dei sistemi informatizzati delle P.A. non ne risponde il privato cittadino che fa affidamento sulla situazione attestata dalla piattaforma informatica della P.A. (T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste, Sez. I, 16/09/2019, n. 3736); mentre viceversa, tale principio non si applica nel caso in cui alla base vi sia un errore o una svista del cittadino medesimo che, invece, sarà tenuto a sopportarne le conseguenze (Cons. Stato, Sez. VII, 03/11/2022, n. 95767)
Nella transizione digitale l’agere pubblico deve essere agevolato da un nuovo “carburante” che è la digitalizzazione dei processi interni; l’azione amministrativa in una PA digitalizzata consiste nell’agevolare i cittadini e semplificare le procedure, traducendo le norme nei sistemi informatizzati e favorendo, anche proprio per mezzo di piattaforme informatiche, la sana cooperazione tra amministrazione e privati. Di fondamentale importanza è dunque garantire che il cittadino non subisca pregiudizi – di qualsiasi natura – dall’utilizzo di tali piattaforme, anche a causa di eventuali limiti dei sistemi informatici utilizzati dall’ente.
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