Sulla giurisdizione del g.a. nel caso di diniego di cittadinanza italiana richiesta per matrimonio

Con ricorso straordinario, uno straniero chiedeva l’annullamento e la sospensione, in via cautelare, del decreto di diniego di concessione della cittadinanza italiana richiesta per matrimonio, emesso dal Console Generale d’Italia a Londra.

Il Consiglio di Stato, nel rilasciare il dovuto parere, respinge il corso nel merito, perché infondato.

Preliminarmente, esso esamina l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione sollevata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Secondo la tesi del Ministero, le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di diniego della cittadinanza italiana richiesta dallo straniero per matrimonio esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo e rientrano in quella del giudice ordinario. Ciò in quanto il coniuge di un cittadino italiano, alla luce della cornice normativa di riferimento che attribuisce all’amministrazione decidente un potere di tipo vincolato (artt. 5 e 6 della l. n. 91/1992), sarebbe titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, suscettibile di affievolimento ad interesse legittimo soltanto nel caso in cui la pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 6, co. 1, lett. c), eserciti il potere discrezionale di “valutare l’esistenza di motivi ostativi all’acquisto della cittadinanza italiana inerenti alla sicurezza della Repubblica”.

A sostegno dell’eccezione proposta, il Ministero richiama, tra gli altri precedenti giurisprudenziali, la sentenza del Cons. St., sez. III, 29 aprile 2019, n. 2768, secondo cui a) lo straniero richiedente la cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano è titolare di una posizione soggettiva di diritto soggettivo, non ravvisandosi poteri discrezionali in capo all’amministrazione deputata ad istruire e provvedere sulla richiesta di cittadinanza; b) l’unica causa preclusiva demandata alla valutazione discrezionale della competente amministrazione sarebbe quella di cui al suddetto co. 1, lett. c), dell’art. 6 cit.: in quei casi, infatti, la situazione di diritto soggettivo dello straniero risulterebbe affievolita ad interesse legittimo, con conseguente radicamento della giurisdizione in capo al giudice amministrativo.

L’Adunanza di sezione, riprendendo quanto sul punto statuito dall’Adunanza Plenaria (cfr. Cons. St., ad. plen., 5 luglio 1999, n. 18), precisa che costituisce “un postulato privo di qualsiasi fondamento… che, di regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondano situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi e, per converso, all’area della discrezionalità amministrativa quelle definibili come interessi legittimi“.

In particolare, esso ritiene che la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi vada fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si collega, giacché “quando risulti, attraverso i consueti processi intepretativi, che l’ordinamento abbia inteso tutelare l’interesse pubblico, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione indiretta, che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell’amministrazione e, dall’altro, si traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell’atto”.

Poste queste premesse, il Collegio afferma che per individuare la natura della posizione soggettiva azionata dal privato richiedente la cittadinanza italiana assume rilievo primario accertare se l’attività di tipo vincolato cui è tenuta l’Amministrazione procedente sia funzionale alla tutela in via primaria di un interesse pubblico ovvero dell’interesse del privato istante.

Nel parere, si legge che “sia la lettera delle disposizioni legislative sopra richiamate, sia la loro ratio, depongono univocamente nel primo senso”. Osserva invero l’Adunanza di sezione che la concessione della cittadinanza italiana, cui consegue la titolarità in capo al cittadino di diritti, anche di rilievo costituzionale, non può non attingere l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento di tutte quelle attività su cui si fonda l’ordinamento democratico della Repubblica: è questa la ragione per la quale il legislatore, ritiene il Consiglio di Stato, anche a fronte di matrimonio tra lo straniero ed un cittadino italiano, richiede requisiti ulteriori (come la residenza nel territorio della Repubblica ovvero, per chi risieda all’estero, ovvero il decorso di un lasso temporale minimo dal matrimonio, ovvero, ancora, la mancanza di sentenze penali di condanna).

In altre parole, il Collegio afferma che il vincolo che presiede alla attività di competenza dell’Amministrazione procedente a fronte di una domanda di acquisto della cittadinanza per matrimonio è imposto in via diretta a primario presidio e a salvaguardia dell’interesse pubblico e soltanto in via indiretta e mediata per la tutela dell’interesse del privato richiedente.

Da ciò consegue, in base alle già menzionate coordinate giurisprudenziali, che la posizione giuridica del privato non assume nella specie consistenza di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, il cui vaglio, in caso di controversia, non può che spettare al giudice amministrativo.

In conclusione, la normativa di fonte primaria, nella prospettiva dell’Adunanza di sezione, sia nella parte in cui rimette all’Amministrazione di esercitare un’attività vincolata di apprezzamento di fatti, documenti ed informazioni, sia laddove disciplini la ponderazione di interessi pubblici e privati per garantire la salvaguardia della sicurezza della Repubblica, persegue un obiettivo finale unitario di chiara matrice pubblicistica. In entrambi i casi, l’Amministrazione, all’esito dell’istruttoria procedimentale imposta dalla legge, deve in ultima istanza accertare se lo straniero possieda i requisiti essenziali rientranti nella specifica fattispecie di acquisto della cittadinanza per matrimonio e se risulti quindi pronto per lo stabile inserimento nella comunità nazionale e l’esercizio, senza pregiudizio per l’ordinamento democratico della Repubblica, dei diritti e delle prerogative attribuiti dalla Carta costituzionale e dalle leggi ordinarie ai cittadini italiani: quanto sopra, sulla base della valutazione di un complesso di circostanze, atte sostanzialmente a dimostrare l’integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, anche in termini di irreprensibilità di condotta.