Nitti: i ministri affaticati

Francesco Saverio Nitti è stato forse, tra gli esponenti della classe dirigente liberale del periodo immediatamente prefascista, quello che più lucidamente ha visto l’urgenza di riformare lo Stato e di dare una nuova forma e metodo di lavoro alla burocrazia. In questo passo del suo libro postumo, tra molti pensieri e riflessioni di fine vita, colpisce l’analisi acutissima dei limiti del ceto politico quale causa prima della crisi istituzionale.

 

I ministri che dicono di non aver mai tempo, che sono sommersi dal lavoro, che hanno sempre l’aria affaticata, sono i meno colti, i meno intelligenti e i meno preparati. Sono come nuotatori inesperti che devono traversare a nuoto ogni giorno un fiume, fanno una serie di movimenti inutili e si stancano quando sono ancora lontani dalla meta. Se anche la corrente del fiume non è agitata, sono essi che non sono tranquilli e si agitano inutilmente.

Sono in generale gli stessi ministri che hanno per abitudine di far cadere tutte le responsabilità sulla burocrazia e di dire che gli impiegati non valgono nulla. E così dan prova della propria incapacità, cioè di non saper utilizzare gli uomini secondo le loro attitudini.

Nei tempi normali un vero capo non è mai troppo affaticati e trova sempre modo di utilizzare i suoi dipendenti. E se proprio i suoi dipendenti sono incapaci, trova il modo di eliminarli.

(F.S. Nitti, Meditazioni e ricordi, Milano, Mondadori, 1953, p. 53).