Il sistema amministrativo e il decreto semplificazioni. Qualche osservazione sulla disciplina dei contratti pubblici e sulle responsabilità

Sommario: 1. Il sistema amministrativo ed i suoi problemi. – 2. Sistema amministrativo ed emergenza. – 3. Che cosa è la burocrazia. – 4. Il decreto legge n. 76/2020 tra aspirazioni sistemiche e vizi antichi. – 5. Una grande assente: la semplificazione legislativa.  – 6. La disciplina dei contratti pubblici: ciò che sembra mancare. – 7. Valore temporaneo della disciplina sperimentale e necessità di una riflessione su quella ordinaria. Le aperture del decreto legge. – 8. Disciplina temporanea e misure di accelerazione.  – 9. Le disposizioni processuali. – 10. La tipizzazione dei motivi di sospensione dei lavori. Il collegio consultivo tecnico. – 11. La disciplina dei commissari straordinari. – 12. Il nuovo testo del’art. 323 c.p.  – 13. Responsabilità erariale e responsabilizzazione dei funzionari. – 14. Qualche provvisoria considerazione conclusiva.

 

1.Il dibattito sul sistema amministrativo italiano è fin troppo noto perché sia necessario richiamarlo diffusamente in questa sede. Continuamente si individua nella burocrazia il problema fondamentale del Paese che soffoca la libertà e le iniziative dei cittadini: salvo, poi, a non indicare per bene, ai fini degli eventuali interventi da assumere, che cosa significa burocrazia. Molti medici si sono avvicendati al capezzale del sistema amministrativo; molte terapie sono state proposte anche perché le diverse iniziative di riforma, spesso annunciate o diventate provvedimenti legislativi, non sono state attuate o sono state ritrattate dai diversi governi succedutisi nel tempo. I tempi e gli orizzonti ristretti della politica sono spesso incapaci di concepire un disegno che superi il contingente.

Sabino Cassese ha più volte spiegato che i fattori che stanno alla base della crisi sono complessi e che, in un certo senso, il primo elemento di complessità è costituito dal carattere democratico degli ordinamenti, che danno spazio a domande politiche diverse e ad interessi diversi, che devono trovare un bilanciamento e che aumentano, di conseguenza, la complessità del sistema amministrativo ed il suo iter decisionale. Un ruolo centrale, di segno negativo, va tuttavia identificato in quella vera e propria “esondazione legislativa” che ha dato corpo, nel tentativo di limitare la discrezionalità delle amministrazioni, a torto o a ragione ritenuta sinonimo di abuso o di arbitrio, ad una sorta di “amministrazione per legge”. Una situazione del genere si proietta sul sistema amministrativo, rendendo incerto il cammino e provocando una fuga ei funzionari dalla decisione, anche per il timore dei controlli e del reticolo di responsabilità -civile, penale, amministrativa, contabile- che avvolge l’azione amministrativa.

Alle difficoltà connesse con l’inflazione normativa si aggiungono, così, quelle legate ai controlli e alla responsabilità. Il risultato finale è un formidabile aumento dell’incertezza, una fuga dall’amministrazione da parte degli stessi funzionari, una paradossale amministrazione per legge o per sentenza ed una crescita esponenziale della sfiducia dei cittadini e delle imprese nei confronti del potere pubblico.

A tutto ciò si sommano i mali “endogeni” dell’amministrazione: il formalismo, l’approccio legalistico e causidico, la complessità del procedimento decisionale,l’età avanzata dei dipendenti pubblici; l’assenza di corpi tecnici e non solo di corpi tecnici specializzati. La crisi del sistema amministrativo è divenuta, così, una crisi del sistema Paese.

 

2.Ci si è intrattenuti su quelli che, in poche battute, possono essere identificati come i mali del sistema amministrativo italiano, perché su di essi è intervenuta la pandemia e con essa l’emergenza. Quest’ultima sospende il tempo ordinario, introducendo limitazioni finora sconosciute e discipline nuove: essa, tuttavia, non è solo la stagione del tempo sospeso, dal momento che sopraggiunge carica dei problemi non risolti del passato e si proietta sul futuro, interrogandoci su ciò che da straordinario potrà divenire ordinario.

Si pone, allora, il problema della strategia complessiva capace di rendere possibile la ripartenza del Paese. Su di questo sono possibili opinioni diverse, ma alcune cose appaiono sufficientemente chiare:

a) si possono, innanzi tutto, progettare politiche pubbliche innovative, ma nessuna di queste potrà essere attuata senza una strumentazione amministrativa adeguata. Invocare politiche emergenziali senza porsi il problema degli strumenti attuativi significa parlare del nulla. Diventa, allora, decisiva la questione della capacità amministrativa.

Nuove norme sono forse necessarie, ma da sole non sono sufficienti.

b) continuano, purtroppo, a manifestarsi i vizi antichi del sistema. C’è una esigenza forte di amministrazione, di spazio per la discrezionalità amministrativa, ma tutti i protagonisti della vicenda legata allo sviluppo del Paese -cittadini, imprese, amministrazioni, sindacati- continuano a chiede norme nuove, nonostante a parole si invochino semplificazioni normative, organizzative ed amministrative. Siamo stati già, durante il periodo dell’epidemia, investiti da una quantità sproporzionata di disposizioni, primarie e secondarie, intervenute per disciplinare minutamente la vita personale e sociale, da una moltitudine di decreti del presidente del consiglio, dei presidenti di regione, dei sindaci. Nuove norme sta preparando la Commissione che opera presso il ministero delle infrastrutture incaricata di redigere il nuovo regolamento sui contratti pubblici; nuove norme chiedono imprese e banche per proteggere gli imprenditori dai rischi connessi alle responsabilità penali per l’eventualità di contagi per il COVID 19 in occasione dell’esercizio dell’attività lavorativa e le banche dei rischi di possibili imputazioni per concorso in bancarotta nell’ipotesi di erogazione di contributi e imprese in difficoltà poi raggiunte da dichiarazione di fallimento.

c) poiché il tempo dell’emergenza introduce problemi nuovi ma si presenta carico dei problemi del passato, le strategie della ripresa debbono darsi carico dei primi e dei secondi e seguire, per dir così, un doppio binario. Da una parte, occorre introdurre poche disposizioni, di immediata applicazione, capaci di operare immediatamente e di consentire altrettanto velocemente il riavvio della vita economica e sociale del Paese; dall’altra, occorre darsi carico delle questioni più generali, e porre quindi le basi per un ridisegno complessivo del sistema amministrativo del Paese, in modo che i problemi antichi, che anche nel periodo della crisi emergenziale si sono manifestati, trovino finalmente adeguata soluzione. Una strategia diversa da quella qui proposta sarebbe, con ogni probabilità, destinata al fallimento, dal momento che:

– un approccio all’emergenza che trascuri le questioni di fondo consentirebbe, forse, un primo avvio, ma lascerebbe insoluti, e probabilmente anche aggravati, i problemi del Paese;

– una linea di azione puntata esclusivamente sulle questioni di fondo non avrebbe, probabilmente, una utilità immediata per la ripresa del Paese e finirebbe anch’essa per consentire l’aggravamento dei problemi più profondi del sistema amministrativo. Occorre, pertanto, adottare misure di immediata utilità e nel contempo avere chiaro il disegno complessivo di cambiamento del sistema amministrativo ed iniziare a fare ciò che è necessario a tal fine. La ripartenza suppone una serie di misure, economiche e sociali, temporanee e transitorie, volte a rendere possibile un riavvio immediato, ma esige anche che siano predisposte soluzioni a regime che consentano di trasformare in permanente quel cambio di passo che le misure temporanee intendono provocare.

 

3.Se il problema fondamentale è costituito dalla burocrazia, occorre aver chiaro a che cosa ci si riferisce quando si parla di essa. La burocrazia non è un luogo oscuro fatto di travet autoreferenziali che tendono soltanto a perpetuare la propria posizione di privilegio, ma costituisce una realtà che intercetta diversi profili, su ciascuno dei quali occorre intervenire se si vuole realizzare un autentico cambiamento. Non è questo il luogo per approfondire il discorso: quel che si può dire è che essa intercetta, innanzi tutto, la questione delle regole, poi quella della funzione e dell’azione amministrativa, poi quella dell’organizzazione, poi quella delle responsabilità e dei controlli, poi quella delle risorse umane e strumentali, poi quella della tutela giurisdizionale. Su ciascuno di questi argomenti occorre intervenire, se si vogliono affrontare in modo sistemico i nodi che caratterizzano il sistema amministrativo. Intervenire su uno soltanto di essi, significa lasciare insoluti i problemi che gravano sugli altri.

 

4.Se quelli che precedono costituiscono criteri utili per identificare le misure necessarie alla ripartenza del Paese, vediamo adesso quanto a tali criteri rispondano le disposizioni introdotte con il d.l. n. 17 luglio 2020 n. 76. Queste mirano all’obiettivo di semplificare il funzionamento dell’amministrazione pubblica, attraverso un intervento riguardante settori ritenuti strategici per il rilancio e la ripresa economica del Paese: i contratti pubblici, l’edilizia, il procedimento amministrativo, il sistema delle responsabilità, il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale e dei sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni, il sostegno all’attività di impresa e le procedure di valutazione di impatto ambientale, la green economy.

Nel complesso, si tratta di un intervento ambizioso che introduce sia discipline provvisorie che interventi a regime, che riguardano sia settori determinati (gli appalti pubblici, l’edilizia, la green economy) sia settori trasversali a tutto il sistema amministrativo (il procedimento amministrativo, la responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici, il sostegno all’amministrazione digitale), che dunque aspirano ad informare di sé tutto il sistema amministrativo ed a provocarne un cambiamento. Ciascun settore investito dall’esercizio della funzione pubblica verrebbe così, ad essere rinvigorito e valorizzato dal nuovo stile e dalla nuova azione “semplificata” dell’amministrazione.

Sembra, pertanto, che si sia di fronte ad un intervento con aspirazioni sistemiche, fornito di discipline provvisorie e di altre che, almeno in prospettiva, intenderebbero introdurre cambiamenti strutturali e proiettarsi così, stabilmente, nel futuro del Paese. Si tratta, allora, di tentare di comprendere se a queste intenzioni corrisponda il superamento di antiche abitudini, attraverso la predisposizione di misure, che abbiano concrete capacità di realizzazione ovvero se si sia dinanzi, ancora una volta, a titoli da molti governi (non solo da quello presente) proclamati ma non adeguatamente praticati (Sblocca Italia, Sblocca cantieri, Cura Italia, Rilancio e così via).

I segnali sono obiettivamente contraddittori.

Cominciamo dal decreto. La prima considerazione che balza agli occhi è che esso si presenta carico dei tradizionali errori del passato. Si tratta di un testo di ben 65 articoli, contenente un numero assai più alto di disposizioni sparse, che prevede un importante numero di concerti o atti di assenso ai fini della realizzazione delle misure ivi previste, basato su una tecnica legislativa -quella di novellare in tutto o in parte norme preesistenti- più volte stigmatizzata e tale da rendere illeggibile il testo. Viene, quindi, significativamente incrementato lo stock normativo, senza che a ciò consegua un numero adeguato di semplificazioni, dal momento che diverse norme non si riferiscono a esigenze di semplificazione (si pensi alle disposizioni, per altro verso forse giustificate, sul trattamento economico dei vigili del fuoco) e che implicano, secondo stime dell’ufficio del programma di governo della presidenza del consiglio, 21 provvedimenti attuativi che si aggiungono a tutti quelli, non ancora adottati, riguardanti altri provvedimenti di decretazione d’urgenza.

L’intenzione è quindi, almeno apparentemente nuova, ma le tecniche e gli strumenti utilizzati sono vecchi. Il risultato potrebbe, quindi essere analogo a quello conseguito con altri provvedimenti similari adottati nel passato, e di cui si è finiti, spesso, con il ripetere il testo.

Il provvedimento d’urgenza in questione, contiene, poi, un obiettivo paradosso. Sotto la ragione comune della semplificazione amministrativa, vengono introdotti interventi complessi in settori assai diversi, che, per diventare ordinamento vivo e vigente, dovranno divenire pratica operativa della nostra amministrazione. Per portare a compimento tale opera occorrerà pertanto una capacità amministrativa che, anche sotto il profilo della normazione e della presenza dei necessari corpi tecnici, le nostre strutture amministrative non possiedono. Ancora una volta, secondo un approccio consueto, si esaurisce l’innovazione (e la semplificazione) nella formazione, con  totale obliterazione dell’amministrazione, delle sue esigenze e delle sue prassi. Ancora una volta si punta tutto sulla capacità magica delle norme e non si pone attenzione alla indispensabile dimensione attuativa.

 

5.Come si è detto, sotto la ragione comune della semplificazione, vengono introdotte sia misure temporanee e provvisorie per settori determinati, dia misure a regime che intendono operare trasversalmente sul sistema amministrativo, allo scopo di modificarlo. Si tratta di un approccio sicuramente condivisibile, e di esso si tenterà, nel prosieguo, una prima, parziale analisi, non apparendo possibile procedere ad un esame approfondito della disciplina contenuta nel decreto e riguardante settori molto diversi. Esso, tuttavia, presenta lacune e contraddizioni ed anche su di esse si cercherà di portare brevemente l’attenzione.

Il dl. 76/2020 è intitolato, come si sa, alla semplificazione ed all’innovazione digitale. E’ del tutto assente, tuttavia, qualunque forma di semplificazione legislativa, tendente ad una riduzione dello stock normativo. Si tratta di una lacuna grave, se si pensa che, come si è visto, il primo livello su cui occorre intervenire per far fronte alla questione burocratica, è quello delle regole e delle norme.

Ad esso, tuttavia, si potrà mettere riparo in sede di conversione legislativa. Non può dirsi che ci si trovi dinanzi a forme di semplificazione legislativa con riferimento al settore degli appalti, perché in esso sono presenti regimi temporanei e speciali, che potranno trasformarsi in possibili semplificazioni  solo a seguito di una assunzione dei medesimi a regime.

 

6.Il settore dei contratti pubblici inaugura la disciplina del codice e contiene una serie cospicua di disposizioni, volte, da una parte, ad introdurre misure temporanee e provvisorie e dall’altra, mutamenti a regime.

Nel complesso, sia le prime che le seconde riguardano, in larga misura, la disciplina dell’aggiudicazione e quella della conclusione del contratto.

Risulta, allora evidente ciò che manca. Ed infatti, secondo uno studio di Banca d’Italia (Questioni di economia e finanza, n. 520, Capitale e investimenti pubblici in Italia: effetti macroeconomici, misurazione e debolezze regolamentari, ottobre 2019) per l’intero ciclo di realizzazione delle opere occorrono, mediamente, circa 4, 9 anni, ed in particolare 2,1 anni per la progettazione, 0,6 anni per l’affidamento, 1,6 anni per la realizzazione e 0,4 anni per la messa in funzionalità.

Risulta, pertanto, evidente che i momenti di maggior crisi riguardano la progettazione e l’esecuzione delle opere e che relativamente a tali fasi non sono presenti interventi sistematici. Sulla progettazione potrà probabilmente operare la semplificazione della procedura di VIA, mentre può costituire un segno di attenzione alla fase di esecuzione delle opere la previsione, in via sperimentale e provvisoria, di un collegio consultivo tecnico di 3 o 5 membri. Resta, tuttavia, vero che l’attenzione maggiore è dedicata alla fase dell’aggiudicazione ed anche a quella del contenzioso, con una disciplina di cui non si sentiva l’esigenza dal momento che la fase del contenzioso è quella che presenta meno problemi.

7.Come si è detto, le disposizioni in materia di appalti introducono un significativo numero di misure derogatorie al regime ordinario, destinate ad operare in via temporanea fino al 31 luglio 2021, ed alcune più limitate misure a regime, volte sia le prime che le seconde, ad una forte accelerazione dei tempi di scelta del contraente e di conclusione del contratto, con qualche ricaduta anche con riferimento alla fase processuale successiva all’aggiudicazione. Nel complesso, le disposizioni transitorie, che sono destinate ad operare fino al 31 luglio 2021, sembrano essere le più interessanti.

In primo luogo, esse introducono non tanto delle diversificazioni, ma un vero e proprio regime speciale, dotato di una sua intrinseca unitarietà, che si affianca, per il tempo previsto dal decreto legge e con riferimento agli ambiti materiali in esso indicati, a quello ordinario. Sarà interessante notare quali saranno le soluzioni organizzative e programmatorie, soprattutto da parte delle stazioni appaltanti, che tale nuovo regime determinerà e quali saranno, sul sistema amministrativo, gli effetti della convivenza di due regimi differenziati. Il sistema amministrativo subirà, infatti, delle ovvie modifiche in relazione alla nuova disciplina transitoria ed occorrerà verificare se esse influenzeranno in qualche modo, positivamente, anche le procedure che rimangono disciplinate dal regime ordinario. La speranza è, ovviamente, che le accelerazioni normativamente introdotte per il regime temporaneo producano anche effetti positivi per gli appalti ancora sottoposti al regime ordinario; è, tuttavia, anche possibile che l’accelerazione introdotta con il regime temporaneo e speciale possa produrre alcune esternalità negative, a causa delle difficoltà delle amministrazioni -specie quelle più piccole- di adeguarsi ai nuovi ritmi introdotti con la disciplina derogatoria, con la possibile riduzione dell’attività di programmazione di nuovi interventi a fronte della necessità di avviare gli adempimenti necessari per la conclusione delle gare già intraprese.

Il valore della disciplina temporanea non può, peraltro, consistere solo nella necessità di assicurare una risposta più rapida ai problemi posti dall’emergenza, economica e sanitaria, causata dalla pandemia: al contrario, essa sta anche nella possibilità di sperimentare nuove soluzioni più efficaci, capaci, per tale ragione, di divenire soluzioni a regime.

L’utilità del periodo di applicazione temporanea della disciplina sta, allora, nel suo carattere sperimentale di anticipazione di un nuovo, complessivo regime di contratti pubblici e delle relative responsabilità. Le misure introdotte, pur se utili, sono tuttavia parziali e non operano a fondo nel sistema complessivo della contrattazione pubblica. Sarà, allora, di importanza decisiva che, nel periodo di sperimentazione, riprenda la riflessione sulla disciplina generale degli appalti, ed in particolare su alcuni aspetti di tale disciplina ordinaria fino ad ora non realizzati o non adeguatamente valorizzati; solo in questo caso ci si troverà di fronte ad uno scenario che consentirà di mettere a regime i frutti migliori del periodo sperimentale. In questo senso, d’altra parte, il decreto legge sembra offrire qualche apertura interessante, dal momento che esso non annovera fra le disposizioni derogate o comunque sospese l’art. 38, riguardante la qualificazione delle stazioni appaltanti e le centrali di committenza. Nello stesso articolo 38 sono, anzi, introdotte modifiche non temporanee, ma a regime, con riferimento alla qualificazione delle centrali di committenza e dei soggetti aggregatori ed alla disponibilità di apposite piattaforme telematiche (art. 8, c. 5, lett. a, n. 3.3 e 4 d.l. n. 76/2020). In effetti, quello della riduzione, qualificazione e specializzazione delle stazioni appaltanti, e quello della creazione di una generale piattaforma telematica per gli appalti costituiscono tratti fondamentali per la realizzazione di un assetto funzionale del sistema di contrattazione pubblica. L’elaborazione di un progetto complessivo nel tempo della sperimentazione delle disposizioni temporanee appare, d’altra parte, ancor più necessario sol se si pensi che sul mondo dei contratti pubblici incombe l’entrata in vigore del nuovo regolamento, destinato ad aumentare e complicare lo stock normativo e probabilmente portatore di una filosofia non del tutto consonante con la stessa disciplina  provvisoria.

 

8.La normativa temporanea introdotta con il decreto legge riguarda l’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia (art. 1) e quelli sopra soglia (art. 2). Per i primi, in deroga al codice degli appalti, sono previsti affidamenti diretti o procedure negoziate, mentre l’aggiudicazione ha luogo con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa o del prezzo più basso.

Per i secondi (art. 2), trovano, invece, applicazione procedure aperte, ristrette o procedure con negoziazione nei casi previsti dalla legge (art. 2, c. 3). Le procedure in deroga riguardano l’affidamento di attività di direzione dei lavori, servizi e forniture, di ingegneria e architettura, nonché i settori dell’edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria, le infrastrutture per la sicurezza pubblica, i trasporti, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali ed idriche, nonché i contratti relativi alla transizione energetica o a questi collegati.

Nell’ambito delle discipline derogatorie un rilievo particolare è attribuito agli strumenti di accelerazione, identificati nella fissazione per legge (art. 1, c. 2 e 2, c. 1) di tempi massimi per l’aggiudicazione o l’identificazione definitiva del contraente, nettamente inferiori a quelli di solito impiegati. Il rispetto di tali termini è sanzionato con la responsabilità per danno erariale direttamente a carico del responsabile del procedimento; responsabilità, questa, che, attinente ad una attività omissiva, deve ritenersi implicante una colpa grave.

Nel pacchetto delle misure temporanee si inseriscono, opportunamente, anche le importanti semplificazioni riguardanti le verifiche antimafia e le nuove disposizioni riguardanti i protocolli di legalità (art. 3, c. 7).

 

9.Anche nell’art. 4 -che pure, riguarda, in generale, nuove discipline a regime- sono introdotte misure provvisorie, concernenti l’applicazione di disposizioni processuali.

In particolare, l’art. 4, c. 2 del decreto prevede che, con riferimento all’impugnazione degli atti relativi alle procedure di cui agli artt. 1 e 2 (e dunque con riferimento a procedure temporanee), trova applicazione, qualora esse rientrino nel rito abbreviato di cui all’art. 11, c. 1, c.p.a., la disposizione processuale in forza della quale, in sede di pronuncia cautelare, occorre tener conto anche dell’interesse nazionale alla realizzazione dell’opera. L’art. 4 c, 3 del decreto prevede che, con riferimento ai contratti sopra soglia, di cui all’art. 2, c. 3, trovi integrale applicazione l’art. 125 c.p.a., e quindi anche la disposizione alla stregua della quale l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato ma l’eventuale corresponsione del risarcimento del danno solo per equivalente.

Di tali disposizioni -soprattutto della seconda- si era molto discusso nel dibattito che ha preceduto il decreto sulle semplificazioni, sia in relazione alla sua possibile non conformità a Costituzione, paventata da molti studiosi (in contrario, viene, tuttavia, ricordata la pronuncia della Corte costituzionale n. 160/2019, che ha ritenuto legittima, in relazione all’autonomia dell’ordinamento sportivo, la limitazione della tutela giurisdizionale amministrativa a quella risarcitoria con riferimento all’impugnazione delle misure adottate dallo stesso ordinamento sportivo), sia in relazione alla utilità di una misura volta, sostanzialmente a porre a carico dell’erario sia il pagamento di quanto dovuto a chi, comunque, ha eseguito l’opera, sia l’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno a chi illegittimamente non ha conseguito l’aggiudicazione. Entrambe le misure processuali appaiono, comunque, al di là di ogni possibile questione di conformità a Costituzione, non particolarmente utili e ciò, alla luce di studi curati dall’Ufficio Stampa e comunicazione e dall’Ufficio Studi del Consiglio di Stato, volti ad individuare nei bienni 2015-2016 e 2017-2018 l’impatto del contenzioso giurisdizionale sul totale degli appalti in Italia e l’effetto “bloccante” delle ordinanze di sospensione del giudice amministrativo. Tale effetto “bloccante” risulta inferiore all’1% nel primo biennio e ulteriormente ridotto allo 0,3% nel secondo biennio: segno evidente che non è la fase del contenzioso a costituire l’anomalia fondamentale, e che la diversa situazione percepita è riferibile alle “autosospensioni” operate dalla pubblica amministrazione nell’attesa della decisione di merito.

Le novità introdotte sembrano, pertanto, non intercettare un problema reale del sistema processuale.

Accanto alle sopra indicate misure provvisorie, l’art. 4 contiene anche delle disposizioni processuali a regime, volte a modificare, in senso acceleratorio, l’art. 120 c.p.a.  La prima di esse introduce la definizione del contenzioso “di norma” in seguito all’udienza cautelare, sempre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 60 c.p.a.; la seconda riduce ulteriormente,”di norma”, il termine per il deposito della sentenza (da trenta) a quindici giorni. Stranamente viene eliminata la possibilità delle parti di chiedere la pubblicazione del dispositivo entro due giorni dall’udienza, e viene invece previsto che, nel caso di motivazione particolarmente complessa la sentenza possa essere depositata entro trenta giorni e che il dispositivo con l’indicazione delle domande eventualmente accolte, sia pubblicato entro quindici giorni dall’udienza. Si tratta, francamente, di cambiamenti di cui non si sentiva la necessità, idonei ad aumentare il grado di confusione e che rischiano, proprio a caso dei possibili errori connessi con termini così ulteriormente ridotti, il moltiplicarsi di casi di revocazione.

 

10.Fra le misure temporanee e sperimentali devono essere, altresì, segnalate quelle relative alla tipizzazione delle ragioni di sospensione dei lavori relativi ad appalti di lavori superiori alla soglia comunitaria, contenute nell’art. 5. Vengono così introdotte disposizioni tassative, facenti riferimento a cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea (art. 5, c. 1, lett. a); o a gravi ragioni di ordine pubblico, di salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere (art. 5, c. 1, lett. b) o a gravi ragioni di ordine tecnico (art. 5, c. 1, lett. b). La ratio della disciplina appare volta a contenere la possibilità di non portare a compimento l’importante fase riguardante l’esecuzione delle opere. Nella stessa ottica si inseriscono le disposizioni sulla prosecuzione dei lavori, pure contenute nell’art. 5.

Appare, infine, rilevante, la disposizione contenuta nell’art. 5, c. 6 che esclude -salva l’esistenza di un caso di sospensione- la possibilità di invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti come causa di sospensione dell’esecuzione dell’opera, e che tende anche a conformare la valutazione del giudice, sia in sede cautelare che di merito, ponendo al centro l’interesse alla realizzazione dell’opera, e l’esistenza di un “preminente interesse” non solo nazionale, ma anche locale, alla sua realizzazione. Nonostante la disposizione tenda ad evidenziare la presenza e la considerazione degli altri interessi in giuoco, la disposizione mira a privilegiare l’interesse alla realizzazione dell’opera che, non a caso, deve essere ritenuto prevalente rispetto a quello economico dell’appaltatore o alla sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale di crisi.

La norma suscita non irrilevanti perplessità, anche costituzionali, come tutte quelle volte a conformare preventivamente la discrezionalità e la libertà di valutazione del giudice, sostituendo ad un giudizio sulla situazione stessa una valutazione preconfezionata per legge.

Una norma a carattere temporaneo e provvisorio, ma di notevole interesse, è quella, contenuta nell’art. 6, che prevede, per gli appalti sopra soglia, la costituzione di un collegio consultivo tecnico, destinato anche ad intervenire nel caso di sospensione dei lavori per ragioni tecniche. Si tratta di uno strumento che può contribuire a risolvere alcuni dei problemi tecnici e giuridico-amministrativi sorti nella fase di esecuzione dell’opera, la cui previsione costituisce, comunque, un segnale di attenzione nei confronti di tale fase che, come si è già detto, appare fra le più critiche.

L’importanza del ruolo della commissione consultiva tecnica è resa palese, tra l’altro, dal fatto che l’osservanza della relativa determinazione ha rilievo ai fini della responsabilità per danno erariale del soggetto agente. Tale osservanza, infatti, esclude la responsabilità erariale, mentre l’inosservanza è valutata ai fini della medesima responsabilità e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 5, c. 3). Sarà interessante verificare, all’esito del periodo di temporaneo vigore delle norme in esame, i riflessi delle medesime sulla velocità di definizione della fase esecutiva delle opere pubbliche.

 

11.Una considerazione particolare meritano, poi, le disposizioni contenute nell’art. 9 del decreto. Sotto la rubrica “misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali” vengono infatti introdotte norme volte a rivisitare in modo significativo le disposizioni introdotte con il decreto legge n. 32/2019 con riferimento ai commissari straordinari.

In generale, la figura del Commissario straordinario per l’esecuzione di lavori pubblici, con le norme derogatorie che la accompagnano, può trovare giustificazione per una singola opera pubblica, o al più per un numero limitatissimo di opere, per le quali sussistano nel contempo particolarissime ragioni di intervento. Un diverso modo di operare introdurrebbe, in via pressoché generale, una sorta di amministrazione alternativa per commissari.

E’proprio quanto si verifica con le disposizioni introdotte con l’art. 9 del d.l. semplificazioni: quello del ricorso ai commissari straordinari diviene un vero e proprio sistema generale ed alternativo all’amministrazione ordinaria, per il quale viene legittimata una deroga generalizzata alla disciplina del codice degli appalti.

Che si tratti di un vero e proprio sistema risulta evidente dal fatto che l’individuazione degli interventi infrastrutturali per i quali operare attraverso commissari straordinari, da effettuarsi con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del ministro delle infrastrutture, riguarda situazioni “caratterizzate da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecniche amministrative, ovvero che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio-economico a livello nazionale, regionale o locale” (art. 9, c. 1, lett. a).

Clausole così ampie consentono, infatti, di ricomprendere nell’elenco delle iniziative da affidare a commissari straordinari opere di qualunque genere anche di rilievo meramente regionale o locale; per queste ultime avrà luogo con decreto del Presidente del Consiglio, previa intesa con i presidenti delle regioni interessate.

Una disciplina di questo genere è destinata a perdere ogni riferimento significativo all’eccezionalità che sola, può giustificare l’intervento commissariale in deroga a quanto previsto dal codice degli appalti, salvi i limiti indicati nell’art. 9, c. 1, lett. b, e la stessa assunzione diretta da parte dei commissari delle funzioni di stazione appaltante. Si pongono, così, evidenti dubbi di costituzionalità e di ragionevolezza su una disciplina di tale ampiezza, che costituisce, assai più della normativa speciale introdotta con gli artt. 1 e 2 del decreto, una sorta di generale “deroga per abbandono” della vigente disciplina in tema di contratti pubblici ed una sostanziale rinuncia ad ogni intervento di miglioramento dell’amministrazione ordinaria dei lavori pubblici.

Un intervento di questo genere equivale a mettere in concreto da parte ogni intenzione, pure proclamata, di miglioramento e rilancio dell’amministrazione ordinaria.

 

12.In un precedente scritto (A. Pajno, Emergenza e ripartenza. La questione amministrativa dopo la pandemia, in Astrid Rassegna, 10/2020), era stato osservato che una eventuale scelta del legislatore, volta a concentrare l’attenzione, in vista della ripartenza, su specifiche iniziative di valore strategico non avrebbe comportato né la rinuncia ad una visione di insieme della questione amministrativa e dei suoi problemi, né l’impossibilità di sperimentare, per un tempo determinato, l’utilità di soluzioni nuove per alcuni dei profili (discrezionalità, procedimento, controlli, responsabilità, selezione e formazione del personale pubblico) in cui la stessa questione amministrativa si articola. Questo suggerimento sembra essere stato seguito con il decreto semplificazioni, dal momento che il Capo IV contiene disposizioni volte ad intervenire su alcune delle responsabilità -quella erariale e quella penale- che gravano sui pubblici funzionari, allo scopo evidente di porre un freno a quei casi di “burocrazia difensiva” cui spesso è dovuto il ritardo nella realizzazione di opere pubbliche e, più in generale, nella soddisfazione delle domande dei cittadini.

Più precisamente, se, con l’art. 23 del decreto si è provveduto a modificare il reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p., con l’art. 21 del medesimo decreto si è, con il primo comma, proceduto a precisare, con riferimento alla responsabilità erariale, che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, e con il comma successivo, ad introdurre una disciplina temporanea e sperimentale della responsabilità erariale, prevedendo che “limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 luglio 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’art. 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. Sono stati, in tal modo posti in essere due interventi a regime (la precisazione sul dolo per quanto riguarda la responsabilità erariale e la modificazione dell’art. 323 c.p.) ed uno sperimentale e provvisorio sempre a proposito della responsabilità dinanzi alla Corte dei conti.

Non può suscitare sorpresa il fatto che, in uno scritto dedicato prevalentemente alle norme di semplificazione in materia di contratti pubblici sia contenuto anche un riferimento alle questioni riguardanti la responsabilità dei pubblici funzionari. Il groviglio di responsabilità in cui è avviluppata l’azione amministrativa (civile, penale, amministrativa, disciplinare, dirigenziale), è infatti uno dei nodi più rilevanti della questione della burocrazia, sicchè va, comunque, considerato positivo il fatto che il legislatore abbia, al di là delle soluzioni prospettate, in qualche modo iniziato a farsene carico. Il tema della responsabilità dei funzionari e del rischio della burocrazia difensiva è, poi, come si sa, strettamente connesso con quello della tempestiva realizzazione delle opere pubbliche, specie di quelle necessarie alla ripartenza dopo la pandemia, sicchè può ben dirsi che la riflessione sul tema delle responsabilità costituisce una parte significativa del capitolo riguardante la realizzazione degli interventi pubblici.

Non è, ovviamente, questa la sede per una compiuta analisi delle importanti modificazioni intervenute con riferimento al reato di abuso d’ufficio. Qui, può soltanto dirsi che, ad un livello di prima approssimazione, la formula introdotta con l’art. 323 del decreto, che al posto della violazione di legge e di regolamenti introduce la violazione di specifiche (e quindi non generiche) regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge sembra in condizione di superare alcuni dei problemi connessi con l’applicazione della previgente disciplina (si pensi alle difficoltà insorte a proposito della violazione delle linee guida vincolanti dell’ANAC, dal momento che alcune  procure contestavano il reato di abuso d’ufficio ritenendo tali linee guida di natura regolamentare, mentre altre si astenevano dal farlo sul presupposto che le linee guida dovevano essere considerate atti di regolazione). Importante, appare, poi la precisazione alla stregua della quale dalle regole di condotta non devono residuare margini di discrezionalità: ciò significa, infatti, che l’esercizio della discrezionalità amministrativa, e cioè la scelta, nel concreto, delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico, non può costituire oggetto di sindacato ai fini della configurazione del reato che, al contrario, prende corpo solo quando la legge indichi una attività vincolata.

 

13. Parimenti, non è questa la sede per i necessari approfondimenti sulla nuova (ed in parte sperimentale) disciplina sulla responsabilità erariale. Tali approfondimenti andranno fatti non soltanto in sede di dibattito scientifico ma anche alla luce della considerazione della giurisprudenza della Corte dei conti e dell’applicazione che essa farà della nuova disciplina. Qui mette conto, soltanto, di formulare alcune brevi considerazioni, utili a meglio comprendere la portata delle nuove disposizioni a carattere temporaneo e provvisorio.

Va, in primo luogo ricordato che la limitazione della responsabilità erariale ai casi di dolo non costituisce una novità, ma è già stata introdotta nell’ordinamento con l’art. 122 c. 2 del d.l. n. 18/2020, con riferimento agli atti negoziali posti in essere dal Commissario straordinario e dai soggetti attuatori. Appare, allora, ragionevole ed in coerenza con quanto è stato previsto per l’emergenza sanitaria, il trasferimento di tali scelte, in via sperimentale e temporanea, all’emergenza economica e sociale, per contribuire alla realizzazione degli interventi necessari al rilancio del Paese.

Va poi, ulteriormente precisato che la disciplina introdotta con l’art. 21 del decreto semplificazioni non sembra realizzare tanto una generale limitazione della responsabilità erariale ai casi di solo, quanto, piuttosto, una diversa, complessiva conformazione di tale responsabilità, anche in relazione al tipo di attività posta in essere dal funzionario. Si tratta di un rilievo significativo, utile ad evidenziare che la nuova disposizione non si risolve nell’eliminazione della responsabilità per colpa grave, ma in una sua diversa scansione ed articolazione. L’art. 21, c. 2, del decreto esclude infatti espressamente che la limitazione della responsabilità ai casi di dolo operi con riferimento ai danni cagionati da omissione o inerzia. Val quanto dire che la responsabilità per colpa grave permane con riferimento alle attività omissive e, più in generale, all’inerzia del funzionario, mentre per gli eventuali danni connessi ad una attività positiva dell’agente è prevista una responsabilità operante solo in caso di dolo. Si è voluto, in tal modo, sollecitare il dispiegarsi positivo della discrezionalità amministrativa e della sua capacità di scegliere al fine di individuare, nella situazione concreta, la via migliore per la realizzazione dell’interesse pubblico, sottolineando, nel contempo, la pericolosità dell’inerzia e dell’attività omissiva per gli interessi generali, attraverso la configurazione di possibili danni connessi a tale inerzia,ed il mantenimento, rispetto ad essi, di una responsabilità per colpa grave.

Si tratta di una configurazione del sistema della responsabilità collegata al tipo di condotta dell’agente che, sembra in qualche modo costituire, nel presente momento storico, una indicazione da parte del legislatore, di un punto di equilibrio tra responsabilità e responsabilizzazione del funzionario (si veda, in proposito, S. Battini, Responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari e dei dipendenti pubblici, in Riv. Trim. dir. pubbl., 2015, I, p. 53 ss.). In questo senso sembra condurre la considerazione di una ormai risalente giurisprudenza costituzionale, che, proprio con riferimento all’accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori propri della responsabilità amministrativa, ha affermato che il legislatore ha il potere di delimitare l’ambito di rilevanza delle condotte perseguibili, stabilendo “nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza”, quanto “del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo” (Corte cost., n. 371/1998; n. 355/210). E’ proprio a questo bilanciamento tra stimolo e disincentivo ad agire, tra responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari, che sembra mirare la nuova disciplina.

Che poi le cose vadano in tal senso -che cioè non vi sia stata una eliminazione della responsabilità per colpa grave ma una sua diversa configurazione in ragione dell’esigenza di salvaguardare le iniziative volte all’esercizio positivo della discrezionalità amministrativa- risulta confermato non soltanto dalla chiara disposizione contenuta nell’ultima parte dell’art. 21, c. 2 del d.l. n. 76/2020, ma da altre disposizioni dello stesso decreto che espressamente configurano come possibili fonti di responsabilità comportamenti omissivi del dipendente pubblico (con riferimento al mancato rispetto del termine di sei mesi dalla determina a contrarre per l’aggiudicazione o alla mancata stipulazione del contratto o al ritardo nell’avvio dell’esecuzione, art. 6, c. 3, con riferimento alla inosservanza, da parte dell’’amministrazione, delle determinazioni del collegio consultivo tecnico).

Deve, infine, essere ricordato che quella introdotta dall’art. 21, c. 2 del decreto non costituisce una disposizione a regime, e nemmeno, per le ragioni sopra esposte, una temporanea moratoria della responsabilità erariale, ma un regime temporaneo e sperimentale, volto a verificare l’incidenza della configurazione della responsabilità sulla tempestività e speditezza dell’azione amministrativa, che, in quanto tale, richiederà una ulteriore successiva valutazione da parte del legislatore.

Questo carattere sperimentale non può non essere tenuto in considerazione ai fini di una valutazione complessiva della disposizione.

 

14.Molte altre cose potrebbero e dovrebbero essere dette a proposito del decreto semplificazioni ed in relazione all’ampiezza del suo contenuto. Una operazione del genere non è, ovviamente, possibile, in questa sede, volta soprattutto a ricercare alcune linee generali del provvedimento ed a formulare qualche osservazione sulla disciplina riguardante i contratti pubblici. Si può tuttavia, evidenziare un profilo che sembra emergere con chiarezza dal decreto semplificazioni. Vi è in esso una evidente aspirazione a ripensare, sia attraverso interventi di settore che interventi trasversali, l’intero sistema amministrativo. Questa aspirazione è, tuttavia, spesa, secondo una abitudine ormai consolidata, esclusivamente attraverso una nuova serie di norme, senza alcuna attenzione alla fase decisiva dell’attuazione e dell’implementazione del quadro riformatore. Come spesso avviene, l’idea di riforma sembra limitarsi all’introduzione di nuove norme, come se queste, da sole, fossero capaci di cambiare le cose. E’ assente, invece, l’attenzione alla strumentazione amministrativa: manca il riferimento ad un centro di responsabilità chiamato a darsi carico dell’attuazione complessa delle riforme, manca ogni riferimento al necessario monitoraggio della realizzazione progressiva del quadro riformatore, pur in presenza di numerose discipline temporanee e sperimentali non è prevista né una esplicita valutazione dei risultati né l’indicazione dei soggetti incaricati di procedere a tale valutazione. E’ assente, infine, ogni riferimento alla complessa e sistematica attività di formazione necessaria per raggiungere risultati accettabili a fronte di interventi così complessi. In questa situazione, vi è il rischio che il nuovo complesso di disposizioni introdotto con il decreto legge si risolva quasi esclusivamente in un aumento dello stock normativo.

Forse la partita del cambiamento è aperta, ma l’esito è lungi dall’essere certo.