Il criterio del merito

Carlo Petrocchi (Milano, 1877-Roma, 1959), figlio del lessicografo Policarpo, si laureò in giurisprudenza a Roma discutendo con Maffeo Pantaleoni una tesi su La teoria  marxista della miseria crescente e la sua unica interpretazione, poi pubblicata dalla rivista socialriformista “Critica sociale”. A quel periodico collaborò intensamente, spesso sotto lo pseudonimo di “Peter Augen”, intervenendo nel dibattito d’inizio Novecento sull’avvento del sindacalismo degli impiegati di Stato. Entrato nella carriera dei Lavori pubblici vi percorse velocemente le tappe iniziali, intessendo frattanto rapporti con giovani e brillanti coetanei come Cesare Cagli, Ferdinando Rocco e soprattutto Meuccio Ruini. Socialista, criticò tuttavia l’egualitarismo degli stipendi, propugnando, come in questa pagina del 1926, il criterio del merito. Dal 1914 visse l’esperienza della direzione dei servizi amministrativi del Magistrato delle acque, amministrazione speciale da poco istituita, divenendo uno dei massimi esperti della bonifica idraulica. Il saggio da cui sono tratte le righe che seguono fu in realtà lo sviluppo di uno scritto pubblicato da “Critica sociale” nel 1915 e fu seguito anni dopo da una seconda edizione del 1944: quelle idee Petrocchi introdusse nel suo lavoro a fianco di Ivanoe Bonomi, autore della moderna legislazione sulle derivazioni delle acque pubbliche del 1916 e sulla bonifica del 1919, e nella sua opera di braccio destro del ministro Carnazza, nella prima fase del governo Mussolini (fu lui a ideare la riforma delle direzioni generali non più secondo materie ma per territori, allo scopo di accrescere l’attenzione dello Stato verso la questione meridionale). Ritornò poi in auge, dopo un breve periodo d’ombra, col ministro Giuriati, quando fu direttore generale delle acque e bonifiche. Frattanto era stato nominato consigliere di Stato (1929), carriera nella quale raggiunse il posto di presidente di sezione.

Con assai minore spesa si otterrebbe dai funzionari del Genio civile molto di più; basterebbe non sopprimere ogni stimolo a lavorare e ogni differenza tra chi rende e chi non rende. Per suggerimento dello scrivente si è fatto un notevole passo su questa strada stabilendo nella recente legge  sulla disoccupazione che dai fondi stanziati per le opere di cui alla legge stessa siano prelevate somme sino al 10%, oltre che per retribuire i tecnici privati incaricati della compilazione dei progetti, per accordare speciali compensi ai funzionari del Genio civile per maggiori loro prestazioni. Il sistema merita d’essere reso da transitorio permanente e d’essere esteso a tutti i funzionari anche non tecnici, dando il mezzo ai superiori di premiare a loro giudizio i migliori dipendenti. La mania del livellamento basta che si fermi allo stipendio. Che cosa pretende di più il funzionario incapace e neghittoso? Tutto ciò che sta al disopra dello stipendio (gratificazione, compenso, incarico redditizio ecc.) deve essere dato soltanto a chi lo merita e da chi è in grado di valutare i suoi meriti, cioè dal capo-ufficio. Il capo-ufficio sbaglia? È debole? È ingiusto? Che venga rimosso: anch’egli ha dei superiori (sopra a tutti c’è il Ministro) che devono saper conoscere e punire i suoi difetti. Comunque sarà facile riconoscere i superiori capaci dagli incapaci; perché i capaci premieranno i subalterni veramente meritevoli e se li accattiveranno mandando avanti bene l’ufficio; gli altri faranno viceversa.

Carlo Petrocchi, La Politica dei Lavori Pubblici, Roma, s. ed., 1926, pp. 528-529.