Tre priorità per una nuova disciplina degli appalti pubblici (e una postilla)

1. Gli appalti fra emergenza e ricostruzione.

Gli effetti drammatici della pandemia ancora in corso, e con la quale sembra sempre più probabile che dovremo convivere per almeno qualche tempo, richiedono per consenso unanime sia misure straordinarie di emergenza per il breve periodo, sia la revisione di regole e assetti stratificati, inidonei ad assicurare una rapida ed efficace opera di ricostruzione.

Un oggetto ricorrente delle riflessioni e delle proposte di istituzioni e di studiosi è la disciplina dei contratti pubblici. Il Codice dei contratti pubblici attualmente vigente (d.lgs. n. 50/2016), con il quale sono state recepite, con una generosa dose di gold plating, le direttive europee del 2014, lungi dall’aver stabilizzato la disciplina, ha creato nuove incertezze e difficoltà, è già stato oggetto di modifiche normative (specie con il d.l. n. 32/2019, cd. “sblocca cantieri”), è rimasto del tutto inattuato nelle parti innovative, come la qualificazione delle stazioni appaltanti, ha prodotto un ampio contenzioso sulla difficile interpretazione delle sue norme ed è stato censurato per contrasto con il diritto europeo dalla Corte di giustizia.

La disciplina degli appalti pubblici meriterebbe, quindi, di essere riformata e semplificata comunque, come del resto dimostrano le diverse iniziative, anche governative, avviate con commissioni di studio e gruppi di lavoro anche prima dell’emergenza sanitaria.

Alcune misure, appunto di emergenza, sono già state adottate: si pensi ai poteri del Commissario straordinario “per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19” (il legislatore italiano non ama risparmiare le parole), in base ai quali il commissario può aggiudicare e stipulare contratti senza passare per il controllo preventivo della Corte dei conti, può disporre pagamenti immediati, o anche anticipati e senza garanzie e risponde, quanto alla responsabilità contabile e amministrativa, solo in caso di dolo accertato (art. 122, commi 8 e 9, del d.l. n.18/2020). O, ancora, alla possibilità per le amministrazioni di acquistare, sino alla fine dell’anno, beni e servizi informatici ricorrendo a procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando, in deroga all’obbligo di utilizzare la Consip o altre centrali di acquisto. La deroga si estende anche alla fase di esecuzione, consentendo che il contratto sia immediatamente stipulato, comprovando i requisiti mediante autocertificazione e senza rispettare i termini di stand still previsti dal Codice dei contratti.

Si tratta però, appunto, di misure in deroga, adottate in via di urgenza e circoscritte quanto ad ambito materiale, soggettivo e temporale. L’attività di acquisizione di beni, servizi e forniture da parte delle pubbliche amministrazioni è essenziale non solo per far fronte all’emergenza, ma anche per una gestione efficace della fase di ricostruzione e, ben utilizzata, può essere – come accade in altri paesi – un volano della ripresa e uno strumento di modernizzazione della spesa pubblica e dei rapporti fra settore pubblico e settore privato.

La consapevolezza della rilevanza della questione è diffusa, come dimostrano i tanti interventi sul tema. La maggior parte di questi interventi e delle proposte avanzate si concentrano, però, su aspetti secondari e non affrontano i nodi di fondo del sistema attuale e delle sue disfunzioni.

Le questioni di fondo prioritarie sono tre: la capacità amministrativa delle stazioni appaltanti; la chiarezza e la stabilità delle regole per le stazioni appaltanti come per gli operatori economici; l’abbandono del fallimentare sistema di controllo oggi vigente a favore di un sistema di controlli di risultato e non di processo.

2. Un nuovo sistema di controlli

Cominciando proprio da questa terza questione, conviene preliminarmente sgombrare il campo da falsi problemi. Non servirebbe a nulla ridurre o comunque circoscrivere il sindacato giurisdizionale in materia. Anche a non voler considerare, per mero amore di discussione, la evidente violazione della Costituzione nel caso di una limitazione dei diritti di difesa, il problema degli appalti pubblici non è il contenzioso che, come dimostrano i dati, pur grezzi, da qualche tempo disponibili, non ha dimensioni spropositate e si svolge in tempi tutto sommato ragionevoli (basti pensare a cosa succederebbe se fosse il giudice civile, e non il giudice amministrativo, ad occuparsene).

Bisogna inoltre tenere conto dell’esperienza, se non si vuole cadere nell’astrazione. I tempi dei giudizi sugli appalti sono stati progressivamente compressi, i costi del giudizio sono stati via via innalzati, si è limitata la tutela cautelare, si è cercato di far prevalere l’azione di risarcimento su quella di annullamento (come prevede l’art.125 del codice del processo amministrativo). Continuare su questa strada darebbe risultati marginali, a meno appunto di immaginare una sorta di immunità per l’attività pubblica in materia: ma si tratta di un’ipotesi che colliderebbe con numerosi principi costituzionali. E probabilmente non darebbe neanche i risultati auspicati sul piano della tempestività e, ancor di più, della qualità della spesa pubblica in materia di appalti.

Altra ipotesi che è stata avanzata è la moltiplicazione dei controlli preventivi, affidati alla Corte dei conti (in varie versioni: solo per i lavori, anche per i servizi e le forniture, solo al di sopra di una certa soglia, estesi anche alla fase di esecuzione). L’esperienza dei controlli preventivi è storicamente fallimentare – milioni di “pezzi” di controlli preventivi non hanno evitato e per la verità neanche segnalato Tangentopoli – e questo ritorno all’indietro avrebbe, a quanto si comprende, più che altro una funzione di “copertura” per l’amministrazione che potrebbe a quel punto aggiudicare a cuor leggero, dietro lo scudo dell’esito favorevole del controllo (un precedente è la norma ad hoc per la revoca delle concessioni autostradali, inserita sempre con il d.l. sblocca cantieri, che esclude la gravità della colpa in caso di danno derivante da decreti sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti).

È facile osservare che non si tratterebbe di un controllo, ma di un’attività di cogestione attribuita ad un organo di controllo (che però non condivide la responsabilità per la decisione) e, altresì, ricordare, che la qualità di scudo del controllo preventivo è stata più volta negata dalle procure della stessa Corte dei conti, se non specificata con norma espressa. Se invece si pensa ad un controllo di efficienza e di efficacia sulla qualità della spesa pubblica, la logica vuole che si tratti di un controllo ex post, perché è, appunto, logicamente impossibile valutare i risultati ex ante (a meno di non accontentarsi di profezie).

Al contrario, occorrerebbe ridurre i controlli preventivi, che allungano i tempi senza accrescere la qualità dell’azione amministrativa, come dimostra l’esperienza dell’Anac. Anche a prescindere dalla peculiarità di un’autorità di regolazione nel settore degli appalti pubblici – scelta che nessun altro paese europeo ha fatto, pur applicando le medesime direttive – e dall’ancor maggiore singolarità di una regolazione indipendente finalizzata al contrasto della corruzione e non, invece, come accade per le autorità di regolazione di settore, ad assicurare la qualità delle regole tecniche ed economiche in materia, è facile rilevare la discrepanza fra la quantità di compiti e poteri che l’Anac ha cumulato e la pochezza dei risultati. La responsabilità di questo fallimento dipende in larga misura dagli errori del legislatore, che ha utilizzato l’Anac come una sorta di totem (in etnologia, uno spirito protettivo…), senza preoccuparsi di mettere in opera un disegno coerente e realizzabile, ma affastellando compiti, poteri, funzioni, albi, banche dati, pareri, comunicati, linee guida, soft regulation che poi si è rivelata hard e, infine, tornando indietro verso il regolamento attuativo e le consuete norme di deroga alle regole inapplicabili.

Sul piano dei controlli occorrerebbe, invece, costruire un serio sistema di controlli di risultati e modificare il regime delle responsabilità, che oggi espone le amministrazioni e gli operatori economici ad un alto grado di imprevedibilità e produce sia un effetto di over deterrence, con conseguente inerzia nelle decisioni, lentezza nell’esecuzione e scarsa qualità dei risultati (che non vengono valutati e considerati in nessuna sede), sia un effetto di under enforcement, perchè il sistema sanzionatorio è inefficiente, colpisce spesso alla cieca e non riesce ad escludere dal mercato gli operatori disonesti e inaffidabili.

La costruzione di un sistema di controlli moderno non può essere disgiunta da un intervento radicale sulle altre due questioni prioritarie indicate in apertura: la capacità tecnica e amministrativa delle stazioni appaltanti e la chiarezza e la stabilità delle regole.

3. La capacità tecnica e amministrativa delle stazioni appaltanti

La costruzione della capacità tecnica e amministrativa delle stazioni appaltanti richiede, innanzitutto, una scelta di realismo: non si può pensare che ogni amministrazione pubblica abbia la capacità di organizzare ogni possibile procedura di gara. Occorre quindi preliminarmente distinguere fra gli appalti che non richiedono particolari capacità tecniche e che, in ragione della loro semplicità o del basso valore economico, ogni amministrazione può svolgere per proprio conto e gli appalti che richiedono, invece, competenze specifiche. Per questa seconda categoria di appalti si possono organizzare centrali di acquisto specializzate, presso le quali concentrare le competenze necessarie, finalizzate alla qualità della spesa e all’innovazione e non solo al risparmio, come è sinora prevalentemente accaduto per Consip. Per una buona politica di acquisti pubblici non bastano i giuristi, gli economisti e i contabili, ma occorrono, a seconda dei casi e a volte contestualmente, ingegneri, architetti, medici, biologi, fisici, matematici, informatici, data scientists. L’Italia produce ottimi laureati, che regala poi ad altri paesi: sarebbe ora di offrire loro una possibilità in patria e sfruttare così l’investimento collettivo sulla loro formazione.

La concentrazione delle competenze in centrali di acquisto specializzate per tipo di beni, servizi e forniture e disposte sul territorio con il coinvolgimento di regioni ed enti locali, consentirebbe di non disperdere risorse e di costruire, in prospettiva, degli hub presso i quali si crei una massa critica di capacità e cultura tecnica, una capacità di sperimentazione e di innovazione al servizio dell’intero sistema amministrativo. La concentrazione consentirebbe anche di verificare in concreto, e non in astratto, come modificare e migliorare le regole adattandole alle caratteristiche dei diversi settori, perché, per fare solo un esempio, un appalto in materia di bonifiche o di rifiuti richiede un’articolazione almeno in parte diversa rispetto ad un appalto in materia di opere pubbliche o di servizi informatici.

Sempre sul piano della capacità amministrativa è necessario anche ricorrere ogniqualvolta è possibile all’e-procurement, con la costruzione di portali e piattaforme dedicati e la diffusione di gare telematiche, per le quali è facile garantire sia la tempestività, sia la trasparenza.

4. La chiarezza e la stabilità delle regole

La terza questione prioritaria è relativa alla chiarezza e alla stabilità delle regole e, bisogna aggiungere, della loro interpretazione. Il Codice dei contratti ha aggiunto, come si è già detto, una generosa dose di gold plating alle direttive europee, che altri paesi si sono limitati, invece, a trasporre tal quali (il sistema del copy out seguito dal Regno unito), o con minimi aggiustamenti e modifiche, come in Francia.

Il gold plating è addirittura vietato, ma è uno dei tanti divieti che il legislatore italiano richiama nei criteri direttivi – proprio nella legge delega sugli appalti – e poi ignora. E così con il Codice si sono praticamente equiparate le regole per i settori ordinari e quelle per i settori speciali, si sono introdotti limiti e oneri poi regolarmente smentiti dalla Corte di giustizia europea (basti pensare al caso del subappalto o delle esclusioni automatiche), si è reso impossibile il ricorso alle procedure più innovative. Persino i contratti c.d. “esclusi”, sono stati in realtà inclusi, grazie all’obbligo, previsto nell’art. 4 del Codice, di rispettare i principi di “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”. E poichè l’autorità di regolazione e i giudici utilizzano i principi come se fossero regole, la categoria dei contratti esclusi è avviata ad una rapida scomparsa.

Al gold plating normativo si aggiunge poi il gold plating interpretativo, che estende l’ambito applicativo delle regole e ne privilegia i profili più rigidi e formali. Sempre per fare un solo esempio, è stato necessario l’intervento del Consiglio di Stato prima (sentenza n. 7059/2018) e della Corte di giustizia europea poi (sentenza 24 ottobre 2019, causa C-515/18) per chiarire definitivamente che quando il Regolamento europeo in materia di trasporto ferroviario di passeggeri consente l’affidamento diretto del servizio intende proprio un affidamento diretto (nomina sunt consequentia rerum…), quindi senza gara (Reg. CE n. 1370/2007, art. 5, paragrafo 6). Ben tre autorità indipendenti (Agcm, Art e Anac) avrebbero preteso, invece, di imporre mediante una “Segnalazione congiunta”, nella quale si invocava per l’appunto l’art. 4 del Codice, un obbligo di gara del tutto inesistente, che sarebbe sorto solo in Italia, in contrasto con il diritto europeo e in base ad una fonte che a voler essere benevoli si può definire spuria.

Il gold plating non si corregge, però, come a volte si è tentato di fare in passato, con norme generiche che prevedano genericamente l’abrogazione delle norme “dorate” senza però individuarle specificamente, perché così si crea solo ulteriore incertezza su quali siano le norme effettivamente vigenti. Occorre invece passare a pettine fitto le disposizioni del Codice ed indicare espressamente le norme abrogate, così da dare certezza alle stazioni appaltanti e agli operatori economici. Questa prima operazione, se organizzata seriamente, può essere svolta nel giro di qualche settimana al massimo, utilizzando gli esperti del settore che non mancano dentro e fuori le amministrazioni e dando loro un mandato chiaro e inequivoco: eliminare il superfluo. Si può poi valutare se sia utile e necessario intervenire, in un secondo momento, sulla disciplina residua per semplificare gli adempimenti, alleggerire gli oneri, chiarire gli obblighi, indicare quali obblighi si applicano a quali procedure, fino a quali soglie. Sarebbe utile anche, una volta ridefinito il quadro normativo, stabilire una moratoria sulle modifiche per un periodo che consenta di verificarne il funzionamento e di operare eventuali revisioni sulla base dell’esperienza accertata.

Postilla

Una piccola postilla è necessaria sui tempi dell’attività amministrativa, che è problema più generale, ma riguarda naturalmente anche la materia degli appalti. Le norme sull’emergenza hanno sospeso e differito i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi (art. 103 del d.l. n18/2020). La misura è comprensibile se disposta a favore di chi richiede o subisce un provvedimento amministrativo e oggi non sia in grado di svolgere attività procedimentale. Lo è assai meno se disposta sull’assunto che in ragione dell’emergenza le amministrazioni non possano svolgere i loro compiti. I lavoratori del pubblico impiego, in questi tempi tristi e duri, hanno il vantaggio e il privilegio di non vedere ridotte, o addirittura cancellate, le loro entrate e il loro posto di lavoro, a differenza di molti altri lavoratori. E le amministrazioni dovrebbero essere le prime ad assicurare la continuità dei servizi, come si chiede di fare a tanti soggetti privati, anche mediante il ricorso allo smart working, alla digitalizzazione, alla informatizzazione. Uno stallo integrale dell’attività amministrativa sarebbe letale per la ripresa: basti pensare alle tante autorizzazioni necessarie per proseguire l’attività, per riconvertire gli impianti, per far ripartire l’edilizia e gli investimenti e, anche, per lo svolgimento rapido e tempestivo delle gare e della loro esecuzione. Non c’è ricostruzione senza un’amministrazione efficiente, non c’è efficienza senza tempestività: un’amministrazione efficiente non può ignorare il fattore tempo se non vuole essere di ostacolo, invece che di aiuto, all’economia e alla società.