La Rule of Law nell’Unione europea

Una importantissima sentenza della Corte di giustizia ha fatto il punto sulla effettiva applicazione della rule of law nell’Unione europea (Minister for Justice and Equality – Deficiencies in the System of Justice, C-216/18). Il caso, in estrema sintesi, muove da un rinvio pregiudiziale della High Court irlandese volto a chiedere se sia conforme al diritto dell’Unione una normativa che consenta (tramite il mandato di arresto europeo) il trasferimento di un cittadino europeo nel suo Paese di origine (nella specie, la Polonia), laddove rischi di essere processato in assenza di adeguate garanzie processuali – e, dunque, in contrasto con il diritto fondamentale di un processo equo.

Nel Verfassungsblog, il Prof. Armin von Bogdandy e altri Autori analizzano la sentenza e ne sottolineano l’importanza costituzionale, ponendo in rilievo alcuni tratti fondamentali. Colpisce, in particolare, l’affermazione della Corte – e ripresa con forza nel commento – per cui la rule of law è definita come valore (“value“), così superando l’inquadramento del caso come “mero” rispetto del diritto fondamentale a un processo equo, per assestarsi su un piano più generale. Si tratta, infatti, di una prospettiva più ampia, in cui la Corte si discosta dall’Avvocato generale, per allargare i confini della tutela offerta.

Il caso, secondo quanto riportato, potrebbe contenere in nuce alcune considerazionid i primario momento per il caso polacco ancora pendente (C-192/18, Commissione c. Polonia) e la decisione, dunque, diviene cruciale nella prospettiva del futuro dell’Unione: “[f]rom the very premise of its reasoning (para. 35), the Court makes clear that the case is about the fundamental structure on which the Union is built“.

La Corte disegna così le linee di confine dell’assetto dell’Unione, precisando portata e confini della rule of law; tuttavia, restano ancora importanti passi da compiere, soprattutto in riferimento alla sua effettività (la Corte ha solo dato “some” bite, come indica il testo del commento).

Questa la massima della sentenza, in italiano: “[l]’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione europea, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, detta autorità deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio”.


Vedi il commento di Armin von Bogdandy, Piotr Bogdanowicz, Iris Canor, Matthias Schmidt, Maciej Taborowski, The CJEU’s Deficiencies Judgment – Drawing Red Lines and Giving (Some) Bite – the CJEU’s Deficiencies Judgment on the European Rule of Law (

Leggi direttamente la sentenza (qui)