“Più vicini, meno trasparenti”. Tre conseguenze del distanziamento sociale sul lobbying

In che modo l’obbligo di distanziamento sociale, unitamente al blocco degli spostamenti transfrontalieri e alla sospensione a tempo indeterminato delle attività istituzionali, influenzano l’esercizio delle attività di pressione? Una videoconferenza è soggetta alle stesse regole che si applicano all’incontro presso la sede istituzionale tra, ad esempio, un capo di gabinetto e un lobbista? Attraverso la tecnologia, guardiamo alle trasformazioni imposte dalla pandemia al lobbying, soffermandoci sui problemi che ne derivano.

Chi studia le interazioni tra decisori pubblici e gruppi di interesse sa che, di regola, i tempi necessari al consolidamento di nuove regole o all’adozione di nuove strategie tra gli operatori del settore sono lunghi. Si pensi al dibattito sulla riforma del registro per la trasparenza dell’Unione europea. Avviata nel 2014, è ancora in corso. Non è bastata una legislatura europea per formalizzare il passaggio dal regime attuale di regole, facoltativo, a un regime obbligatorio e vincolante per tutti i rappresentanti d02i interessi.

Un altro esempio lo offre la tecnologia a supporto delle strategie di influenza. Se, tra gli studiosi, è ormai pacifica la distinzione tra strategie digitali di mobilitazione di segmenti dell’opinione pubblica (advocacy) e l’influenza diretta dei lobbisti sui titolari di cariche pubbliche (lobbying), meno certi sono i confini tra le due tipologie di influenza, l’impatto che generano sulle decisioni pubbliche e le regole da applicarvi. L’opinione più diffusa, fino ad oggi, era che la tecnologia digitale e l’automazione avrebbero avuto negli anni un ruolo via via più importante nel campo dei public affairs.

L’obbligo di distanziamento sociale, unitamente al blocco (o, nel migliore dei casi, al rallentamento) degli spostamenti transfrontalieri e alla sospensione a tempo indeterminato delle attività istituzionali ordinarie, ha imposto una accelerazione rapida e inaspettata al tema. Nell’arco di appena due mesi, sono emerse e consolidate tre nuovi tendenze.

Primo, la maggiore disponibilità agli incontri (in modalità remota) da parte dei titolari di cariche pubbliche. La drastica riduzione degli spostamenti e la cancellazione di molti eventi istituzionali hanno creato nuovi spazi nelle agende dei decisori pubblici. La competizione per occupare i nuovi spazi ha dato vita a numerose iniziative di auto-legittimazione da parte degli operatori di settore. La reputazione, infatti, è la valuta usata dai rappresentanti d’interessi per accreditarsi negli incontri con gli interlocutori istituzionali. La European Public Affairs Consultancies Association, ad esempio, ha messo a disposizione un video tutorial per gli operatori del settore che interagiscono con i decisori pubblici online.

Secondo, con il moltiplicarsi degli incontri virtuali è sorto il problema di garantirne la trasparenza. Una videoconferenza è soggetta alle stesse regole che si applicano all’incontro presso la sede istituzionale tra, ad esempio, un capo di gabinetto e un lobbista? La risposta è scontata: dipende dal sistema di regole in vigore. Se esiste un regime giuridico che chiarisce a quali condizioni è necessario rendicontare un incontro, allora è legittimo ipotizzare che, al ricorrere di quelle condizioni, le regole in vigore si applichino anche agli incontri virtuali. Interrogato al riguardo, il Mediatore europeo ha confermato questa ipotesi: “The rules haven’t changed. If you are having a Zoom or Jabber meeting with a commissioner, that still has to be logged — the same rules apply”. Peraltro, le regole in vigore possono essere rinforzate. È il caso del Parlamento europeo che, per ovviare alle possibili critiche mosse alla legittimità del proprio operato, ha approvato in queste settimane regole stringenti in merito agli obblighi di trasparenza degli incontri online dei propri rappresentanti.

Cosa accade, invece, se le regole sono assenti, o meramente facoltative? Rimanendo in ambito europeo, sappiamo che il Consiglio (unica tra le istituzioni UE alla quale non si applica il registro per la trasparenza) diffonde usualmente notizie molto sintetiche dei propri incontri ufficiali, omettendo spesso informazioni importanti (il tema oggetto dell’incontro, ad esempio). La posizione ufficiale del Consiglio, sul punto, è che le videochiamate (sia a livello inter-ministeriale che di gruppo di lavoro) sono rubricate alla stregua di evento “non ufficiale” – e pertanto non devono essere rendicontate. In queste ipotesi, l’impatto negativo sulla trasparenza delle attività lobbistiche è evidente.

C’è, infine, un terzo fenomeno da registrare, e riguarda le trasformazioni subite dalle strategie di pressione di gruppi industriali e attori civici. Anzitutto, le aziende tecnologiche hanno aumentato il volume di spesa in attività di lobbying. Tra queste, ad esempio, Zoom – interessata soprattutto a rispondere alle critiche mosse alla sicurezza della propria piattaforma. Hanno aumentato il volume di spesa in attività di pressione anche le aziende più duramente colpite dalle misure di lockdown adottate dai governi occidentali. Prime tra tutte le compagnie aeree, interessate soprattutto alla temporanea distensione delle regole a tutela dei consumatori, ad esempio in tema di rimborsi per le cancellazioni.

Inoltre, la minore efficacia degli incontri in teleconferenza ai fini dell’influenza sulla formazione delle decisioni pubbliche ha aumentato gli investimenti strategici delle aziende sulla mobilitazione indiretta, in rete. Se dunque aumenta l’importanza del cd. “brand activism”, ovvero la promozione valoriale da parte dei grandi brand, non a scopo di marketing ma di influenza, contestualmente vanno in sofferenza le organizzazioni della società civile. Queste ultime faticano a presidiare con efficacia l’opinione pubblica online, venute meno (temporaneamente?) per molte tra loro le donazioni che ne consentivano il funzionamento e la sopravvivenza.

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